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    NUOVO SILURO PER LE FAMIGLIE ITALIANE: UN ASILO NIDO SU TRE POTREBBE NON RIAPRIRE - A RISCHIO ANCHE ASSISTENZA E DOPO SCUOLA - COOPERATIVE E IMPRESE SOCIALI GESTISCONO IL 60-65% DELLE SCUOLE DELL'INFANZIA MA IL TERZO SETTORE, CHE DA' LAVORO A 850 MILA PERSONE, E' IN ALLARME: IL FATTURATO E' CROLLATO DELL'80%...


     
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    Maurizio Tropeano per “la Stampa”

     

    asilo nido asilo nido

    L' emergenza Coronavirus si abbatte sulle famiglie italiane. Secondo il rapporto annuale su fiducia e consumi di Confcommercio e Censis, infatti, a causa della crisi sanitaria e del conseguente lockdown, il 42,3% delle famiglie ha visto ridursi l' attività lavorativa e il reddito, il 25,8% ha dovuto sospendere del tutto l' attività, il 23,4% è finito in Cig. Quasi 6 famiglie su 10 nutrono il timore di perdere il posto di lavoro e tra i principali effetti sui consumi, il 48% ha dovuto rinunciare definitivamente a qualsiasi forma di vacanza (weekend, ponti, Pasqua, vacanze estive) e il 23% all' acquisto di beni durevoli (mobili, elettrodomestici, auto) già programmati.

     

    Non stupisce, allora, che oltre la metà delle famiglie non abbia fatto programmi sulle vacanze estive, il 30% ha già deciso che resterà a casa e solo il 9,4% ci andrà ma con durata e budget ridotti. Per Giuseppe De Rita, sociologo e presidente del Censis «in autunno si assisterà ad una seconda ondata di economia sommersa, lo vediamo adesso con l' aumento del pagamento in nero, cash, perché è il modo per sopravvivere per milioni di persone».

     

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    E la ripartenza rischia di essere compromessa anche dalla difficoltà del terzo settore. «In questo momento un pezzo dell' economia sociale è sulla spiaggia di Dunkerque e rischia la disfatta sotto l' impatto del Coronavirus e adesso è fondamentale salvare il maggior numero delle imprese sociali per ripartire a settembre con modalità diverse altrimenti sono a rischio parti fondamentali del welfare italiano», spiega Mario Calderini, professore di Innovazione sociale al Politecnico di Milano.

     

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    Perché usare una metafora bellica? «Perché in Italia, ad esempio, cooperative e imprese sociali gestiscono tra il 60-65% delle scuole dell' infanzia e se salta il 40% di quelle imprese il 30% dei nidi italiani rischia di non aprire a settembre e questo diventa un problema per le famiglie, le donne, le persone fragili e anche le altre imprese».

     

    Per Gianni Gallo, presidente di Confcooperative Piemonte Nord, «Torino, che è sempre stata all' avanguardia per il privato sociale, adesso rischia di più: metà delle imprese che lavorano in questo campo fa davvero fatica a far quadrare i conti anche perché non lavora ad una catena di montaggio ma si occupa di persone che devono essere protette». Dal suo punto di vista «avranno grossi problemi le imprese sociali che lavorano nelle Rsa e quelle che gestiscono tutti i servizi legati al mondo della scuola, cioè integrazione per disabili, sostegno fino alle mense che sono ferme da mese e che non sappiamo come riapriranno».

     

    Calderini e Gallo hanno declinato nel dettaglio l' allarme lanciato dal mondo del terzo settore che raccoglie circa 350 mila enti e dà lavoro a 850 mila persone. Un mondo che con l' emergenza Covid-19 ha visto un crollo dell' 80% fatturato e che adesso «non solo rischia di esplodere e provocare un vero e proprio default delle imprese» ma potrebbe anche complicare la ripartenza a settembre: «L' Italia - ragiona Calderini - non può permettersi di non avere un sistema di imprese che si faccia carico delle persone più fragili».

     

    Che fare, allora? Una via d' uscita potrebbe arrivare dal recovery fund che dovrebbe prevedere una dotazione consistente di fondi per l' economia sociale e «trasformare la crisi in opportunità -spiega Calderini - perché impone diversi modelli abitativi, di cura e assistenza della persone e anche di fare turismo e di procurarsi il cibo».

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    Da qui potrebbero nascere «nuovi business e nuove opportunità di lavoro» a patto che le «imprese sociali accettino la managerialità e l' innovazione», conclude Calderini. Altre opportunità potrebbero arrivare dal ritorno della filantropia all' investimento sociale. Durante l' emergenza , secondo la mappatura di Italia No profit sono stati raccolti oltre 650 milioni ma il «78% degli oltre 600 enti intervistati dichiara di avere più che dimezzato le attività». Sono poi stati tracciati 801 iniziative di filantropia ma di queste solo 170 hanno sostenuto enti no profit mentre più della metà è andata ad ospedali (470), pubblica amministrazione (94) e protezione civile (72).

     

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    Secondo Stefano Granata, presidente nazionale di Confcooperative Federsolidarietà, però «l' emergenza ha portato al centro dell' attenzione il tema del welfare anche da parte di categorie, come professionisti e piccoli imprenditori che prima della crisi non lo consideravano una priorità. E' necessario fare investimenti in economia sociale».

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