Francesco Guerrera* per “la Stampa”
*Direttore di Barron' s Group in Europa.
starbucks
Il coronavirus sta infettando i grandi marchi. Dai caffè di Starbucks, agli alberghi di Hyatt, dai telefonini di Apple alle borse di Louis Vuitton, il capitalismo globale è sull' orlo di una crisi inaspettata, profonda e di lunga durata. La colpa è del COVID-19 ma il virus è solo il sintomo di un serio malessere per «l' era della globalizzazione», il periodo di espansione economica, integrazione commerciale e innovazione tecnologica che ha caratterizzato gli ultimi trent' anni della nostra storia. Come il coronavirus, che è «nato» in un mercato di animali di Wuhan, il morbo anti-globalizzazione è partito dalla Cina ma si è diffuso rapidamente nel resto del mondo.
tim cook in cina
Starbucks, la multinazionale americana che ha convinto i cinesi a dimenticare millenni di tradizione ed abbandonare il tè, ha lanciato l' allarme questa settimana: le vendite nei suoi bar in Cina crolleranno della metà nel secondo trimestre - una mazzata di circa 400 milioni di dollari. Hyatt ci ha messo del suo, confessando agli investitori che ha perso il 90% delle prenotazioni in Cina a Febbraio e gli utili ne risentiranno. E anche la Nike e la Adidas hanno aggiunto i propri nomi alla lunga lista delle società colpite dal virus.
Le grandi firme del lusso stanno soffrendo ancora di più.
cina hyatt
Per anni, lo sviluppo vertiginoso della Cina ha creato milioni e milioni di nuovi consumatori con il gusto, i soldi e la voglia di ammantarsi di sfarzo made in Europe. Nel 2018, questa nuova orda di spendaccioni ha sborsato 100 miliardi di euro per comprare beni di lusso, più di un terzo del totale. Occhio, dunque a società quali Lvmh - proprietaria dei marchi Louis Vuitton, Hennessy e Moet & Chandon - Tiffany e Capri, la holding di Michael Kors, Versace Jimmy Choo. Senza gli yuan (e dollari) delle signore e signori di Shangai e Pechino, sarà dura, anzi durissima.
negozio louis vuitton
Le azioni di queste società, e moltissime altre, sono in caduta libera perché gli investitori hanno paura, non tanto del presente, ma di un futuro che si preannuncia cupo, incerto e pericoloso. Quando ho parlato con operatori di mercato questa settimana, ho avvertito paure e parole («panico»; «capitolazione»; «vendere tutto»; «correre ai ripari») che non avevo sentito dai tempi della crisi finanziaria del 2008-2009. Non è un caso che negli Usa già si parli di aiuti di stato, proprio come 12 anni fa.
TIFFANY 5TH AVENUE NEW YORK 1
Ci vuole, ovviamente, una visione più ampia. Di fronte ad un virus che ha contagiato più di 100 mila persone, con una lista delle vittime che è sopra quota 3400 e non sembra fermarsi, non importa se Tiffany vende meno diamanti dell' anno scorso. Ma il COVID-19 ha la capacità di sconvolgere la vita a miliardi di persone e di portare a cambiamenti strutturali nell' edificio del capitalismo mondiale.
Quando Apple, la società più amata dai consumatori, avverte che il virus potrebbe causare una carenza di iPhone, bisogna pensare alle conseguenze sui bilanci societari ma anche su come la gente comune comunica ogni minuto. Il mercato di Wuhan ha prodotto non solo un' emergenza sanitaria gravissima ma anche il test più severo per quell' economia globalizzata, inteconnessa e tecnologicamente avanzata che abbiamo dato per scontata sin dagli anni '90.
Sappiamo già, purtroppo, che questo virus uccide le persone ma sarà letale per una globalizzazione già assediata da politici populisti, sperequazioni sociali e disastri ambientali? Ci vuole coraggio per predire la fine di un movimento economico e culturale che ha le sue origini nella Via della Seta di 2000 anni fa. Ma le risposte di governi, imprenditori, investitori - e noi comuni mortali con l' iPhone - nei prossimi mesi saranno fondamentali nel determinare il futuro di un pianeta che, tutto d' un tratto, si sente molto, molto fragile.