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    ELVIS COSTELLO MEMORIES! L’INGHILTERRA PRE-BEATLES, L’ERA THATCHER, I RIMPIANTI E LA TRESCA CAFONA CON LA UBER-GROUPIE BEBE BUELL: IL PIU’ STRAVAGANTE MUSICISTA DELLA NEW WAVE SI RACCONTA IN UN’AUTOBIOGRAFIA SORVOLANDO SULLA SUA INCLINAZIONE ALL’ALCOL E SULLA VOCAZIONE DA ATTACCABRIGHE


     
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    ELVIS COSTELLO 12 ELVIS COSTELLO 12

    Stefano Pistolini per “Il Venerdì - la Repubblica”

     

    Non c’è da sorprendersi che un uomo strano e istrionico come Elvis Costello abbia pubblicato un libro strano e istrionico. Torrenziale, con oltre 800 pagine rimpinzate di nomi, ricordi, aneddoti (la versione audio, letta da lui stesso, dura 18 ore e mezzo).

     

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    E inconsueto, con la sua struttura ondivaga, rifiutando l’andamento cronologico, correndo su e giù sulla scala del tempo – l’Inghilterra spartana pre-Beatles, l’era Thatcher, la guerra delle Falklands… – in una traiettoria che parte da lontano, coinvolgendo altri maschi della famiglia Mac Manus (il suo vero cognome: schiatta scozzese-irlandese. Nome all’anagrafe: Declan), nella fattispecie suo padre Ross, a sua volta cantante d’orchestra di buona fama e ragguardevoli successi femminili.

     

    Dunque il più stravagante musicista uscito dalla nidiata New Wave di fine anni Settanta, arrivato alla maturità dei suoi 61 anni, offre la propria versione dei fatti, stilando un’autobiografia per la quale sdegna i ghostwriter, come i migliori sconfinatori dalla cosa musicale a quella letteraria – Dylan, Patti Smith, Donald Fagen.

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    Il risultato è Musica infedele & inchiostro simpatico (Baldini&Castoldi, sotto la copertina), titolo emblematico dei contenuti: la storia di un uomo dai molti rimpianti, allergico al vincolo matrimoniale, eppure ostinato nello stabilirlo con donne che condannerà a umilianti abbandoni (la prima moglie Mary Burgoyne) o a epiloghi malinconici (la seconda consorte, la bassista dei Pogues Cait O’Riordan), imboccando tresche un po’ cafone (leggendaria quella con la uber-groupie Bebe Buell), sorvolando con imbarazzo sulla sua inclinazione all’alcol e sulla vocazione da attaccabrighe.

     

    I fan gradiranno la sincerità e il tono di umile rincrescimento col quale Elvis ricorda queste storie, con una miriade di particolari, perché avanti a tutto c’è la musica, e la sua è stata a tratti straordinaria.

     

    Costello resta prima di tutto un grande autore di canzoni e un originale interprete, a dispetto dei mezzi vocali non straordinari. Da sempre, però, s’è misurato con quel formato del long playing solo di recente  tramontato e col quale ha scontato la severità di una critica puntualmente esigente con lui.

     

    Del resto i segni di questa scarsa sincronia coi meccanismi dell’industria musicale sono disseminati nel libro, fin dalla pagine che rievocano come in pochi mesi Elvis divenne l’artista del momento, ai tempi di My Aim Is True, creatura postmoderna che abbinava passatismo vintage e scapigliatura del post-punk.

     

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    Da lì, seppure in assenza di clamorosi successi, per il ragazzino occhialuto e insicuro comincia una gran vita da musicista di rango, esploratore dei suoni, collaboratore di tanti padri del pop – da Paul McCartney a Burt Bacharach – autore di liriche ironiche e intense, che sanno fotografare il lifestyle della sua gente.

     

    Un maestro, a modo suo. Ma anche l’ennesima vittima di quel ricorrente malanno d’oltremanica, fatto d’insoddisfazione, inquietudine e scontento. Qualcosa che ha a che fare con la pioggia che cade lassù. Che inzuppa fino alle ossa, aspettando l’autobus che non passa mai.

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