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    L'EREDITÀ DEL LOCKDOWN: FINMECCANICA RIDUCE DEL 30% GLI SPAZI DEGLI UFFICI - I DIPENDENTI ANDRANNO IN AZIENDA DUE GIORNI A SETTIMANA - ANCHE ALTRE IMPRESE RIDISEGNANO GLI SPAZI E I TEMPI DI LAVORO - ALPITOUR LANCIA IL “DESK SHARING”: LA CONDIVISIONE DELLA SCRIVANIA CHE, IN ALCUNI CASI, DOVRÀ ESSERE PRENOTATA VIA APP


     
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    Gabriele De Stefani e Claudia Luise per “la Stampa”

     

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    «Abbiamo fatto i conti: per i nostri uffici è necessario il 30% degli spazi in meno». L'amministratore delegato Alessandro Profumo, ospite del meeting di Cl a Romini, sintetizza così la lezione del lockdown per Leonardo: la presenza fisica è necessaria per sviluppare idee, ma incontrarsi un paio di giorni alla settimana è più che sufficiente. E allora un terzo degli spazi, nei quali lavora la metà dei 30 mila dipendenti dell'ex Finmeccanica, è superfluo: le scrivanie si possono condividere e gli uffici possono essere destinati a sale riunioni o servizi di welfare aziendale.

     

    «Dovremo tutti investire di più in baby sitter e meno negli spazi per gli uffici» sintetizza Marco Cerea, ad di Randstad Italia (2mila dipendenti nel nostro Paese). Non sono casi isolati, ma i primi segnali di un trend destinato a segnare la riorganizzazione del lavoro post-Covid: le aziende, soprattutto i grandi gruppi, stanno ragionando su come ridisegnare spazi e tempi. Anche, ma non solo, per risparmiare.

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    LA SCRIVANIA SULLA APP

    La chiave è il desk sharing, la condivisione della scrivania. Non più un orticello personalizzato, ma una postazione di lavoro a rotazione. In alcuni casi da prenotare, come accadrà alla Alpitour, che continuerà con lo smart working ma metterà a disposizione una app con tanto di mappa per scegliersi la postazione preferita tra quelle rimaste libere.

     

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    Anche Reply punterà sulla condivisione del desk e su un sistema che calcola i tempi necessari per sanificare l'area di lavoro. Le esigenze produttive si incrociano così con quelle sanitarie, come dimostra Intesa Sanpaolo che prevede un ampio rientro in sede dal 7 settembre (almeno un giorno alla settimana per tutti), ma garantirà la sicurezza personale anche con il tetto di una postazione occupata su due. L'evoluzione «Da filosofia manageriale innovativa, lavorare da remoto si sta velocemente trasformando in un nuovo paradigma - spiega Luca Villani, che si occupa proprio del ridisegno degli spazi di lavoro per Jll, società specializzata in servizi immobiliari -. Le aziende che daranno prova di resilienza e che sapranno abbracciare rapidamente la novità, investendo nella salute e nella produttività dei propri dipendenti, anticiperanno una trasformazione inevitabile e già in atto».

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    L'ufficio evolve così, spiega uno studio della stessa Jll, in un polo di innovazione e collaborazione per cui non servono più le grandi sedi cui siamo abituati. «Dai centri direzionali si passa ad un ufficio diffuso - spiega Arianna Visentini, ceo di Variazioni, società attiva da dieci anni nella consulenza organizzativa per aziende che passano allo smart working -. Le imprese che si stanno riorganizzando hanno tra le mani calcoli secondo cui la quota di metrature "guadagnate" può andare dal 15 al 40%, in base alle priorità: ridurre le postazioni e tagliare i costi o invece ridisegnare gli uffici rendendoli più attraenti o inserendo spazi informali, di aggregazione, welfare o stanze per riunioni di team building».

     

    Le ricadute economiche Il tema dei risparmi e delle ricadute economiche per aziende e dipendenti naturalmente non è secondario. Perché se è vero che la strada virtuosa è quella del "meno scrivanie e più asili", la tentazione del taglio secco alle spese ridimensionando le sedi è inevitabilmente forte e va a toccare anche le relazioni tra aziende e dipendenti.

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    Ad esempio nell'erogazione dei buoni pasto (che già durante il lockdown è stata interrotta per migliaia di lavoratori) o nell'accesso allo smart working, che per le norme attuali deve essere concordato e non può essere imposto. Non solo: ridimensionare gli uffici anziché riqualificarli significherebbe anche spingere la svalutazione del patrimonio immobiliare, che Nomisma prevede attorno al 3% nel 2020 per il settore direzionale, e indebolire i pubblici esercizi e la ristorazione che, secondo le stime di Confesercenti, pagano un conto di 250 milioni di euro al mese per lo svuotamento degli uffici.  

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