capezzone su bellanova
DAGONOTA - Riproponiamo qui, per fare solo un esempio tra mille, alcuni tweet seguiti alla prima della Scala del 7 dicembre 2015, quando Daniela Santanchè si presentò con un vistoso abito verde (mica nuda e ricoperta di Nutella) e fu l'oggetto dello scherno di chiunque, da Crozza a ''DiMartedì'' alla Littizzetto sulla correttissima Rai1 del correttissimo Fazio. Con lei si poteva, perché è di destra. Addirittura aziende (Ceres) avevano fatto degli instant-meme ipotizzando che fosse ubriaca.
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Inutile stare qui a ricordare tutti i casi Adinolfi, Ferrara, Brunetta, Berlusconi (loro sì, bersagliati per le fattezze fisiche, e non per un banale vestito) né i calendari della Carfagna tirati fuori 15 anni dopo, i sottintesi sulle parlamentari di Forza Italia, o la pioggia di insulti sul corpo della Maglie e la vecchiaia di Feltri quando esprimono idee che non piacciono.
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Dagospia ovviamente ha sempre scherzato su tutti e su tutto, anche perché crediamo che chi fa il politico debba avere la pelle più dura del cittadino comune. E infatti, proprio come la Santanchè ha sempre giocato vestendosi da cowgirl o da montanara in moon-boot, la Bellanova, abituata a ben altre asperità, si è fatta una risata, ha spiegato il perché di quell'abito e il giorno dopo si è abbigliata più sgargiante di prima.
Non aveva bisogno dell'esercito dei buoni accorso a difenderla, e che in realtà la trattava con una vomitevole condiscendenza. Come a dire: poverina, è donna e sovrappeso, proteggiamola dai cattivi usando il potere lenitivo dei nostri cuori su Twitter. Gesto che non è mai stato riservato a – per dirne uno – Giuliano Ferrara, perché lì il sottinteso è: è uomo e tosto, se la cava da solo. Quando capiranno che la vera uguaglianza sta tutta lì?
— Pigi Dimitri (@PigiDimitri) 6 settembre 2019
E aggiungo: se avete i sentimenti fatti di cartapesta, ritiratevi dalla politica. Il POLITICO, soprattutto se si parla di massimi esponenti, è e sempre sarà oggetto di critiche, denigrazioni e pure lanci di uova. Se non volete essere offesi, restate a casa.
— Marco Zannini (@mrczannini) 6 settembre 2019
Avete preso in giro Adinolfi per il peso, denigrato Brunetta e Berlusconi per l'altezza, dato della mignotta alla Carfagna, rotto le palle con la storia del bungabunga. "È satira" dicevate. Ora tutti verginelli per una critica su un vestito. @Capezzone #Capezzone #TeresaBellanova
— Marco Zannini (@mrczannini) 6 settembre 2019
Confesso, sul vestito della Santanchè alla scala ho fatto le peggio battuta, vero anche che scrivevo per pagine di satira, di #Capezzone non ho compreso il ruolo. Dovrei chiedere anche scusa a Adinolfi, ma la satira non ha doveri verso il politically correct, anzi, l’aborre.
— NonHaStataPiúLaBoldrini (@Nonha_stata) 6 settembre 2019
CRITICHI UN ABITO? FIOCCANO MINACCE DI MORTE
Daniele Capezzone per ''la Verità''
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Ecco a voi il reprobo, che poi sarei io. Ieri è morto Robert Mugabe, il tiranno dello Zimbabwe: ma la sensazione è che, in un ipotetico referendum su Twitter, sarebbe stato largamente plebiscitato dalle migliori risorse della sinistra italiana, a mie spese.
Capo d' imputazione a mio carico? Il fatto che l' altro giorno, dopo il giuramento al Quirinale dei nuovi ministri, trovando un pochino vistoso e discutibile l' abito a balze blu elettrico indossato da Teresa Bellanova, io abbia pubblicato un tweet ironicamente critico verso il vestito («Carnevale? Halloween?»).
Tutto qui: nulla di più e nulla di meno di un tweet su un vestito. Battuta naturalmente discutibilissima: a qualcuno può esser parsa simpatica, ad altri inopportuna e sgradevole. Totalmente legittima l' una e l' altra opinione: anzi, può benissimo darsi che il vestito fosse assai migliore del tweet.
A prima vista, non mi sembrava materia da crociate o da guerre di religione. Quante volte avete letto o sentito battute feroci sulla mise dei reali britannici, sui cappellini della regina o della regina madre, scomparsa qualche anno fa? O - ben più vicino a noi, in questi giorni - battute sulla pochette di Giuseppe Conte, di cui ieri un quotidiano spiegava addirittura i dettagli delle quattro «cime» che spuntano dal taschino?
teresa bellanova
E invece mi sbagliavo.
Qualche ora dopo la pubblicazione del tweet, con ampia mobilitazione (deputati e senatori del Pd, l' immancabile catena di #facciamorete, molti utenti spontanei, e pure un vasto campionario di troll e account sospetti), sono stato lapidato. Per quello che ho scritto? No: per quello che non ho scritto.
Sta qui il punto. Con uno slittamento dal vero al falso, mi è stato attribuito ciò che non ho mai né scritto né pensato: battute sulle donne, sul corpo di una signora, sui suoi titoli di studio. Un tweet su un abito è diventato l' anticamera per accuse che riassumo così: sessismo, misoginia, derisione degli altri, body shaming (detto in inglese, è ancora più minaccioso, pare). Così, in un crescendo che dall' altra notte mi ha accompagnato fino a ieri sera, sono stati chiamati in causa i miei genitori (uno dei quali non c' è più); il mio presunto fascismo (di andata o di ritorno, ontologico o acquisito); il tradimento del liberalismo (certificato dal presidente dei senatori del Pd, che evidentemente, nel tempo libero, rilascia e ritira patenti liberali).
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Ed è partita - a corredo - una raffica di minacce. Incluso un buon pacchetto di minacce di morte. Alcune, va detto, elaborate e artisticamente fantasiose, con spiegazione dettagliata del tipo e del grado di sofferenza adeguati per punirmi.
Altri, invece, non hanno minacciato, ma hanno sfoggiato la loro sensibilità culturale. Uno per tutti, Alessandro Gassmann, che ha pubblicato una mia foto con il titolo «L' imbecille»: polemica elegante, civile, democratica. Al simpatico rodeo hanno anche partecipato firme del servizio pubblico della Rai, reiterando surreali accuse di razzismo nei miei confronti.
Ma non bastava ancora.
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Con piglio da pubblico ministero, è arrivato Carlo Calenda a dire che «gli insulti di Capezzone sono vergognosi». E già qui, come gli hanno fatto notare decine di utenti, non si capiva bene quali fossero i miei insulti. Ma ormai Calenda aveva già preso la rincorsa: «In qualunque Paese normale uno che si esprime così non varcherebbe mai più la porta di uno studio televisivo». Per rafforzare il concetto, Calenda ha anche taggato (cioè messo a conoscenza su Twitter) uno degli account di Mediaset, in modo - intuisco - da segnalare bene chi debba e chi non debba essere invitato in tv. Circostanza interessante, dunque. Dopo neanche un giorno al governo, il Pd, senza perdere tempo, già chiede censura e bavaglio, già inizia a compilare l' elenco degli sgraditi, di quelli che non devono avere diritto di parola.
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Qui finisce il mio racconto, e devo scusarmi con i lettori per aver preso un po' del loro tempo, mentre ringrazio in modo speciale La Verità che mi consente di rimettere in fila un po' di fatti. E di fare un' annotazione. Sono stato criminalizzato per ciò che non ho detto (ho parlato di abiti, non di persone). Invece qualcun altro - per anni - ha effettivamente detto alcune cose, non limitandosi ai capi d' abbigliamento, ma andando al cuore delle (vere o presunte) caratteristiche fisiche e morali dei propri avversari.
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Contro esponenti di centrodestra, ricordo (da sinistra) accuse infamanti verso deputate (trattate senza tanti giri di parole come escort o peggio). Ricordo volgarità inenarrabili (e la chiamavano «satira») sulla statura dell' uno o le caratteristiche fisiche dell' altro avversario politico. Dunque, di là, si può offendere chiunque sul piano personale. Di qua, non si può fare una battuta su un vestito.
Va dato atto a una persona, e cioè alla stessa Teresa Bellanova, di essere stata molto più spiritosa e sportiva dei bodyguard accorsi per difenderla. Ieri, con un tweet, ha riproposto la foto del suo vestito, chiosando: «La vera eleganza è rispettare il proprio stato d' animo: io mi sentivo entusiasta, blu elettrica e a balze e così mi sono presentata». Chapeau a lei. Non ai lanciatori di minacce e agli addetti «democratici» alla censura.
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