- IL DESERTO, LE BASI, LE ARMI PERCHÉ PER HOLLANDE LA MISSIONE È IN SALITA
Guido Olimpio per il "Corriere della Sera"
La vendetta postuma di Gheddafi. Con questo titolo, la rivista Foreign Policy fotografa la situazione di instabilità creatasi a sud della Libia. Una frattura sfruttata da movimenti locali, come tuareg, jihadisti e predoni. Realtà vecchie e nuove abituate a muoversi su un teatro gigantesco che è impegnativo sotto il profilo logistico. Per chi attacca e per chi si difende. Sapendo che prima o poi l'offensiva sarebbe arrivata, gli islamisti si sono preparati. Come prima mossa hanno adeguato il loro arsenale.
Ieri gli ufficiali francesi hanno ammesso: «Sono più forti del previsto». I guerriglieri si sono rivolti ai trafficanti che vendono il materiale trafugato dai depositi libici. Dunque nuove mitragliere, jeep migliori, lanciarazzi, cannoncini, munizioni in quantità, apparati di comunicazione. A ciò si è aggiunto quanto abbandonato nei mesi scorsi dall'esercito maliano. Con queste armi, gli islamisti possono rendere la vita difficile ai francesi. Lo si è visto già nel primo giorno di scontri.
Insieme alle bocche da fuoco, Ansar Dine, qaedisti e i miliziani dai profili confusi hanno cercato di migliorare il network di supporto. Fonti Usa hanno segnalato come i ribelli, dopo aver rubato bulldozer e scavatrici di una grossa impresa francese, abbiano costruito rifugi per il carburante, tunnel, gallerie. Piccole difese per rendere meno visibili i depositi da 48 ore obiettivo dei raid aerei. I contrabbandieri hanno anche procurato pannelli solari per alimentare radio e telefoni satellitari.
MALI IN GUERRAI qaedisti hanno poi preposizionato nel deserto barili di carburante e acqua o li hanno affidati ai pastori reclutati con i soldi dei riscatti. Punti di rifornimento segreti per le colonne di «tecniche», i camioncini armati che sono come le navi del deserto. La tattica è quella di scomparire e riapparire percorrendo ogni giorno centinaia di chilometri. Lasceranno magari i centri abitati ma torneranno con incursioni rapide. I francesi dovranno inseguire queste ombre. E sarà un lavoro lungo.
2- MUNIZIONI MADE IN TEHERAN COSÌ L'IRAN ARMA MEZZA AFRICA - UNO STUDIO RIVELA: CARTUCCE E FUCILI DISTRIBUITI A ESERCITI E INSORTI
C. J. Chivers per The New York Times
Traduzione di Marzia Porta per "la Repubblica"
I primi indizi sono emersi in quello che oggi è il Sudan meridionale. Nel corso di un'indagine sulle munizioni impiegate nel 2006 dalle forze governative e dalle milizie civili, un ricercatore britannico si è imbattuto in alcune cartucce per kalashnikov che non aveva mai visto prima di allora. Le munizioni non riportavano alcun codice, il che lasciava supporre che il loro produttore non desiderasse essere identificato.
Nel giro di due anni altri ricercatori hanno scoperto che delle cartucce identiche erano state impiegate nei conflitti etnici del Darfur. Altre ancora sono state rinvenute nel 2009, all'interno di uno stadio di Conakry, nella Guinea, dove alcuni soldati avevano aperto il fuoco su dei protestanti antigovernativi, uccidendone più di centocinquanta.
la france en guerrePer sei anni un gruppo di ricercatori indipendenti, esperti nel traffico di armi, si è dato da fare per risalire all'origine delle misteriose cartucce. Basandosi sulle informazioni provenienti da quattro continenti, gli studiosi sapevano che da anni qualcuno convogliava di nascosto verso delle regioni del mondo che sono teatro di prolungati conflitti delle munizioni destinate a fucili e mitragliatrici. Unico scopo delle loro ricerche era quello di risolvere il mistero, non di puntare il dito contro una nazione in particolare. La svolta nelle indagini ha portato a una scoperta inaspettata. Il misterioso produttore non era uno dei "soliti sospetti" africani, bensì l'Iran.
africaDa anni, proprio mentre era scrupolosamente tenuto sotto controllo a causa del suo programma nucleare e del sostegno dato ai dittatori di tutto il Medioriente, l'Iran, tramite una rete di distribuzione clandestina, faceva arrivare le sue munizioni di produzione statale a una lunga lista di combattenti - compresi quelli situati in regioni sottoposte ad embargo degli armamenti da parte delle Nazioni Unite.
Le indagini hanno fatto emergere la presenza di munizioni iraniane tra i ribelli della Costa d'Avorio, le truppe federali nella Repubblica Democratica del Congo, i Taliban dell'Afghanistan e gruppi affiliati con Al Qaeda nel Maghreb islamico e in Niger. Un traffico collegato a spettacolari esempi di violenza promossa dai governi e da gruppi armati collegati al terrorismo - il tutto senza richiamare molta attenzione, né permettere di risalire al Paese di produzione.
MALI IN GUERRA«Se qualche tempo fa mi avessero domandato quale ruolo avesse l'Iran nel contrabbando di munizioni per armi di piccole dimensioni all'interno dell'Africa, avrei risposto nulla di che», afferma James Bevan, ex ricercatore delle Nazioni Unite che da 2011 dirige I ricercatori che prendono parte alle indagini - il gruppo comprende diversi esperti delle Nazioni Unite e un esperto di Amnesty International - hanno documentato la crescente distribuzione delle munizioni iraniane senza però tenere conto dei mezzi o delle entità che hanno di fatto permesso la loro circolazione, e non sanno con certezza se a vendere le munizioni sia stato direttamente il governo iraniano, i suoi servizi segreti, una società controllata da Teheran o dal suo esercito o ditte fittizie con sede all'estero.
l guerriglieri islamistiMa la fonte delle munizioni, rimasta a lungo misteriosa, appare ormai indiscutibile. Benché siano di fattura iraniana, potrebbero però non essere state inviate ai destinatari direttamente dall'Iran. «Quanto alle conseguenze, se si dimostrasse che Teheran ha ripetutamente violato la legge, credo che si potrebbe intervenire con maggior vigore», continua Bevan. «In buona parte, e forse nella maggioranza dei casi, però, a distribuire le munizioni all'interno dell'Africa sono stati gli Stati africani».