Daniele Capezzone per “la Verità”
Si è molto discusso, negli ultimi giorni, dell'Ungheria e - su un piano in parte diverso - della Polonia, e, a cascata, dei loro rapporti con l'Ue. Budapest e Varsavia hanno un approccio assai diverso sul piano della politica estera: filorusso e filocinese nel caso dell'Ungheria, filoamericano e filobritannico nel caso della Polonia.
SALVINI MELONI BERLUSCONI 66
Non si tratta - qui - di discutere il diverso orientamento geopolitico dei due governi, ma del loro essere accomunati da un'analoga ostilità da parte dell'Ue. Intendiamoci: è vero che Varsavia e Budapest hanno sistemi politico-istituzionali caratterizzati da alcune criticità; ed è anche vero che l'espressione «stato di diritto» dovrebbe evocare concetti cari alla migliore tradizione giuridica occidentale: purtroppo, però, nei termini in cui essa è usata a Bruxelles, ha spesso una pericolosa carica di vaghezza e ambiguità, che può portare a politicizzare la questione, e a produrre attacchi nei confronti di governi sgraditi.
giorgia meloni e viktor orban
Qualche anno fa, ad esempio, proprio la Polonia è stata sottoposta a ipotesi di misure punitive (addirittura fino alla minaccia di privarla del diritto di voto) per una riforma giudiziaria nazionale che, nel rapporto tra magistratura ed esecutivo, riproponeva meccanismi presenti anche in altri ordinamenti: e allora perché solo per la Polonia (e non per la Francia) si gridò contro il rischio di subordinazione della magistratura all'esecutivo?
Margaret Thatcher
È evidente insomma che su temi del genere le valutazioni tenderanno a essere sempre più discrezionali e politiche che non freddamente giuridiche o ancorate a benchmark oggettivi. Ciò detto, a mio personale avviso, anziché guardare a Budapest, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi avrebbero un modello limpido, classico (e non certo soggetto ad accuse di «orbanismo») a cui rifarsi, se volessero portare avanti un discorso - vigoroso ed equilibrato - su un'Europa che rispetti di più le diversità nazionali e non pretenda di imporre un'omologazione totale, un'omogeneità innaturale.
Tra l'altro, proprio oggi, 20 settembre, se ne festeggia il 34° anniversario. Di che si tratta? Del gigantesco e preveggente discorso tenuto in Belgio, a Bruges, nel settembre del 1988, da Margaret Thatcher.
VIKTOR ORBAN GIORGIA MELONI
In quell'intervento, la Thatcher centrò un punto di fondo: per anni, le classi dirigenti europee si sono concentrate troppo sugli aspetti istituzionali dell'Europa, e hanno fatto dell'Ue un fine in sé, anziché considerarla - come avrebbero dovuto - solo un mezzo per realizzare i veri obiettivi: la crescita della libertà, economica e non, dei cittadini dei Paesi membri. Lasciamo la parola alla Thatcher: «La Comunità non è (intendeva ovviamente: "non dovrebbe essere", ndr) un fine in sé. Né è un marchingegno istituzionale da modificare costantemente in ossequio ai dettami di qualche concetto intellettuale astratto. Né dovrebbe essere ossificata da una regolamentazione senza fine. La Comunità europea è un mezzo pratico attraverso il quale l'Europa potrebbe assicurare la futura prosperità e sicurezza dei suoi popoli in un mondo in cui ci sono molte altre potenti nazioni e gruppi di nazioni».
margaret thatcher pro europa
Com'è evidente, qualcuno ha fatto esattamente il contrario: ha confuso mezzi e obiettivi, si è aggrovigliato in dibattiti tutti istituzionali e di forma, smarrendo la sostanza, e cioè la ricerca delle soluzioni concrete più utili ai cittadini. Forse, senza approcci estremi, è venuto il momento di una riflessione di fondo: che metta in discussione l'inseguimento di forme istituzionali eccessivamente integrate, che faccia prevalere la competizione fra soluzioni diverse rispetto alle risposte dirigiste e centralizzate, e che renda il dibattito sull'Ue una questione più pragmatica e meno "religiosa".
E questa confusione tra mezzi e fini ha portato a un disastro culturale, cioè quello che Friedrich von Hayek avrebbe definito un caso di fatal conceit, di diabolica presunzione costruttivista: la pretesa dirigista di "modellare" la realtà, di imporre soluzioni dall'alto. Una pericolosa costruzione in laboratorio: con l'elemento collettivo sempre prevalente su quello individuale, e con il mito della coesione sociale sempre prevalente sul valore della libertà. E con un caotico e incessante mutare di ogni regola, gerarchia delle fonti, procedura, e perfino confine geografico.
VIKTOR ORBAN MATTEO SALVINI
Ha pienamente ragione, da questo punto di vista, chi evoca una contraddizione. Oggi molti criticano l'Ue con argomenti statalisti: ma non dovrebbero averne motivo, dal loro punto di vista, visto che quella di Bruxelles è proprio una costruzione statalista (anzi: superstatalista).
Per evitare questa deriva, se ci fosse un filo di lucidità, l'Ue dovrebbe cercare una strada alternativa (quella a suo tempo indicata dalla Thatcher), puntando su una libera alleanza tra nazioni sovrane, ben disponibili a collaborare intensamente in alcuni ambiti, ma senza rinunciare alla propria autonomia e a una virtuosa competizione tra Stati e territori.
viktor orban discorso dopo la vittoria 2022
L'Ue, con realismo, potrebbe mettere a disposizione una piattaforma di servizi. In altre parole, offrire a chi li vuole programmi e progetti, consentendo a ciascun paese di scegliere la formula e il grado di coinvolgimento più adatti per sé. Rinunciando quindi alle pretese di integrazione politica troppo spinta. Grideranno gli eurolirici: "Ma questo è un progetto di Europa à la carte". Non c'è dubbio: e al ristorante, infatti, è sempre meglio poter scegliere liberamente tra diverse portate, anziché farsi imporre il menu fisso. Per di più da un cuoco francotedesco.