Estratto dell’articolo di Giulia Innocenzi per www.ilfattoquotidiano.it
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Viviamo in una democrazia o in una lobbycrazia? È una delle domande che mi sono posta girando negli ultimi 5 anni il mio documentario Food for Profit, insieme a Pablo D’Ambrosi. Finalmente, dopo difficoltà produttive, viaggi impossibili, tanti no dalle principali piattaforme di streaming, il film è stato presentato ieri al Parlamento europeo, a Bruxelles, proprio nel cuore della nostra inchiesta, dove grazie alla telecamera nascosta di un lobbista si svela il legame tra industria della carne e sistema politico.
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Animali geneticamente modificati, come maiali a sei zampe per aumentare la produttività degli allevamenti, o vacche col tubo nel retto per ridurre le emissioni di metano. Lorenzo Mineo, il lobbista sotto copertura munito di telecamerina nascosta, chiede a degli eurodeputati se per quest’ultimo progetto da incubo sarebbero pronti a presentare un emendamento. “Se la questione è condivisa, possiamo tranquillamente presentarlo”, risponde Isabella Tovaglieri, eurodeputata della Lega.
“Bisogna capire dove lo agganciamo”, chiosa Paolo De Castro, eurodeputato da ben tre legislature del Pd ed ex ministro. L’emendamento è rimasto lettera morta, ma è di poche settimane fa il voto del Parlamento europeo sul gene editing, per dare il via libera alle modifiche genetiche all’interno di uno stesso organismo: per ora riguarda esclusivamente le piante, ma in futuro potrebbe toccare gli animali.
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Con Food for Profit vogliamo anche mostrare quanti soldi pubblici – tanti – siano in ballo quando si parla di agricoltura e allevamenti. Per la precisione 387 miliardi in sette anni della Politica Agricola Comune, la voce più imponente del budget europeo, e cioè il fondo che l’Ue destina all’agricoltura e agli allevamenti.
Nato agli inizi degli anni Sessanta con il nobile intento di sostenere gli agricoltori e di garantire agli europei di non restare senza il piatto a tavola, con il tempo ha attirato sempre più critiche, proprio per il suo funzionamento: aiuta di più chi ha di più. E quindi la maggior parte dei sussidi vanno ai grandi gruppi dell’Agribusiness. Peggio ancora, vanno agli allevamenti intensivi.
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Com’è possibile che gli europei finanziano con le proprie tasse un sistema che è additato fra le principali cause del cambiamento climatico? La risposta è un mantra dell’industria e dei politici a essa contigua: negare l’esistenza degli allevamenti intensivi a casa nostra. Lo ha fatto, intercettato dalle nostre telecamerine, anche l’europarlamentare De Castro: “Gli allevamenti che fanno il latte non li giudicherei intensivi”… A guardare la sua dichiarazione di interessi, che gli eurodeputati sono obbligati a pubblicare sul sito del Parlamento europeo, verrebbe da pensare che c’entri la sua collaborazione con il Consorzio del Grana Padano (retribuita 10.000 euro l’anno), che si serve proprio di allevamenti intensivi per raccogliere il latte per fare il formaggio dop.
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E dal dicembre del 2023 può vantare anche un’altra collaborazione: 25.000 euro l’anno da Filiera Italia, fondazione dell’Agribusiness di cui è stato nominato presidente e di cui fanno parte, fra gli altri, Amadori, Cremonini e McDonald’s. Secondo Transparency International uno degli eurodeputati con più incarichi. “Come fanno i cittadini a essere sicuri che quando lei vota non vota per gli interessi dell’azienda che la finanzia?”, gli ho chiesto. “Sono molto orgoglioso di difendere le aziende agroalimentari italiane con grande soddisfazione”. E poi rincara: “Non ricevo soldi”.
Il caso De Castro non è un unicum. La commissione Agricoltura, che è il principale organo decisore sulla Politica Agricola Comune, è finito più volte nel mirino di associazioni come Greenpeace per i conflitti di interessi dei suoi membri. Ci sono persino quelli che ricevono i sussidi della PAC perché sono loro stessi proprietari terrieri.
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Due terzi dei terreni coltivati nel nostro continente vanno agli animali rinchiusi negli allevamenti. È per questo che le associazioni da tempo denunciano che la maggior parte dei sussidi PAC finisce in maniera diretta o indiretta agli allevamenti intensivi. Ed è solo grazie agli attivisti animalisti “infiltrati” che è stato possibile filmare quello che succede al loro interno. Maltrattamenti, violenze, animali visti solo come “profitto” o come “scarto”. […]
Food for Profit
E l’Europa? Non solo continua ad avallare e a finanziare questo modello produttivo, ma ha fatto anche dietrofront su misure che rientrerebbero nel Green deal annunciato in pompa magna da Ursula von der Leyen: stop alla riduzione dell’uso di pesticidi, stop al 4% dei terreni lasciati a riposo, stop a nuove norme in difesa del benessere animale. […]
giulia innocenzi
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