Marco Molendini per Dagospia
maneskin vincono eurovision
Fuochi d'artificio, titoloni sui giornali (sul tono: ha vinto l'Italia delle otto milioni di canzonette e ha sconfitto i francesi, per i cugini transalpini una sorta di nuova Waterloo), gran trionfalismo digitale fra siti e social. Cosa è successo? I Maneskin dopo Sanremo hanno trionfato all'Eurovision song contest (più semplicemente identificabile come Eurofestival) sempre con la stessa canzone, Zitti e buoni.
Un successo, non c'è dubbio: ma dei quattro ragazzi romani, non del Paese. Di gara canora si tratta e neppure di alto profilo. E poi che senso ha giudicare la musica per la bandiera che l'accompagna? Il patriottismo è un sentimento ridicolo in questo caso, se vince un gruppo o un artista italiano non c'è nessun progresso e la nazione non ne trae alcun vantaggio.
la presunta sniffata di damiano dei maneskin all eurovision 4
E' lo stesso atteggiamento provinciale di quando si sventolano con orgoglio le classifiche di vendita (sia pure al lumicino) gioendo se la topten è occupata solo da titoli italiani: l'autarchia musicale è un regresso, il talento non ha passaporto.
Perché dovrebbe essere meglio ascoltare una canzone dei Maneskin che di Bruce Springsteen o degli U2? Ancora peggio è il tifo per una gara musicale, specie se questa gara è notoriamente una baracconata, un Giochi senza frontiere (infelice sagra paesana basata su giochi scemi che doveva sancire l'unità continentale televisiva) a cui partecipano una sfilza di canzoni che battono bandiera, come se in ballo ci fossero i destini delle nazioni.
la presunta sniffata di damiano dei maneskin all eurovision 3
Per lo più, dal punto di vista musicale ci si muove in un territorio ristretto i cui confini sono il trash e il kitsch, un rosario di scontatezze, messe in scena circensi, un totale appiattimento sui canoni della musica che più scontata non si può, una serie di esibizioni da serie C, dove i momenti in grado di sollevare un minimo di curiosità sono come l'acqua nel deserto. Una parata smisurata dove, anche quel poco di buono o di accettabile che c'è è all'insegna della fuga dall'originalità.
i presentatori dell eurovision jan smit, chantal janzen e edsilia rombley
L'inzeppamento dei partecipanti, con la scusa di rappresentare un paese, lascia spazio perfino a nazioni che hanno una tradizione musicale lontana dai canoni occidentali (come l'Armenia o l'Azerbajan, tanto per dirne un paio). Viene infilata addirittura l'Australia che, se non sbagliamo, fa parte di un continente che si chiama Oceania. E non è Europa neppure Israele . Così, alla fine a contare è il televoto inquinato da quella forma insana di patriottismo musicale.
anxhela peristeri
I Maneskin hanno vinto, ma non cambieranno i destini della patria. Possono piacere o meno, basta sapere che non sono la rivoluzione del rock (e probabilmente neppure il rilancio).
Si dovranno accontentare dell'esposizione che hanno avuto e dei benefici che questo porterà alla loro popolarità (dubito che si aprano mercati internazionali, Azerbaijan compreso), dell'impulso alla vendita dei biglietti per il loro tour (partirà il 14 dicembre dal Palazzo dello sport dell'Eur), dei titoli dei giornali, dei servizi fotografici.
natalia gordienki
Quanto alla Rai, incassa un buon ascolto (il tifo di stampo calcistico funziona, il 27 per cento di share in più dell'anno scorso), ma eredita qualche grattacapo, nel senso che organizzarlo (tocca sempre al vincitore) significa correre il rischio di rimetterci dei soldi. Nel 2019 Israele ha speso 28,5 milioni di euro, l'anno prima il Portogallo 23,5 al lordo di un contributo di qualche milione (tre i 4 e i 6): ci saranno gli sponsor e l'indotto, ma per l'ente televisivo organizzatore far quadrare i conti non sarà facile.
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