Paolo Di Stefano per il “Corriere della Sera”
PANNELLA BIANCA BECCALLI
Quindici giorni fa, nella sua casa romana di via della Panetteria, Marco Pannella faceva ancora progetti. Non aveva nessuna intenzione di morire, né forse aveva la certezza che i suoi giorni fossero ancora pochi. Fumava e parlava di progetti, fumava seduto al grande tavolo della cucina.
È il racconto di Bianca Beccalli, l' ex ragazzina che ancora matricola universitaria, tra il 1958 e il 1959, si innamorò del fascino da condottiero di Marco, «alto, occhi splendenti, intensi ma non allegri». Ricambiata. Al punto che nel giro di pochi mesi pensarono di sposarsi, anche affrontando le resistenze conservatrici della famiglia di lei: ma a pubblicazioni in corso le buone intenzioni vennero meno e ognuno prese la sua strada.
La ragazzina avrebbe perfezionato i suoi studi a Cambridge, si sarebbe sposata nel '63 con Michele Salvati (conosciuto sempre a Pavia), sarebbe diventata una famosa sociologa, attenta soprattutto al lavoro femminile, alle pari opportunità, alle differenze di genere.
Lui, Marco, avrebbe intrapreso le battaglie che conosciamo.
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L' ultimo incontro non ha un sapore di malinconia: «C' erano i suoi giovani amici, Laura Hart e Matteo Angioli, nessun altro, che nelle ultime settimane vivevano in casa con lui, lo facevano alzare quando riuscivano, di solito il pomeriggio.
Si sedeva al tavolo di cucina e riceveva qualcuno. Quel giorno c' ero io, abbiamo avuto una specie di lunga conversazione, due ore, era dolce e affettuoso, mi accarezzava i capelli e mi diceva: sei più bella di prima.
Fumava fumava fumava, in continuazione. Ogni tanto sbagliava e si metteva a fumare l' accendino, ma i ragazzi glielo toglievano». E i progetti. «Parlava dei suoi progetti: la battaglia per la legalizzazione delle droghe leggere e la demistificazione dell' allarme sul fumo. Ne parlava da un punto di vista medico e da un punto di vista politico, non era chiarissimo...
Frasi un po' spezzettate ma riconoscibili. Dava l' impressione che non pensasse alla morte, gli vedevo come un' energia nuova, parlava del mondo mai della malattia».
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Desideravano rivedersi, Bianca e Marco, dopo che lui, compiuto gli ottanta, aveva fatto il suo coming out ricordando in un' intervista quell' amore lontano forse con un po' di leggerezza: «Pendeva dalle mie labbra, era troppo innamorata».
E aggiunse: «La conobbi a Pavia, aveva occhi splendidi e dolcissimi. Una volta andammo a mangiare nei pressi di un ruscello vicino a Certosa...». Lei rispose in un' altra intervista che non pendeva dalle labbra di nessuno, né allora né mai: e così si riparlarono al telefono ricordando con delicatezza il passato.
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Era il 1958, nell' imminenza delle Politiche, quando il trentenne leader radicale scorrazzava per la provincia lombarda, mentre lei, figlia di una buona famiglia borghese, era precocemente attiva nel movimento studentesco e nei circoli della goliardia politica di allora.
Lui liberale, lettore degli esistenzialisti, lei socialista, attratta dalla filosofia della scienza. Lei aveva l' ingenuità di una giovane donna alle prime armi con i sentimenti, lui era già un combattente picaresco.
Fu una folgorazione, un incontro travolgente. Lavorarono insieme alla campagna elettorale, si innamorarono e si trasferiscono prima in Belgio, poi a Parigi, «fidanzatissimi», ma con vita autonoma, lei in università seguiva i corsi di Michel Touraine, lui collaborava per Il Giorno con l' amico Saverio Tutino: Bianca ricorda le crisi esistenziali di Marco, i mesi difficili.
Poi tutto sfuma in un niente, come capita anche alle relazioni migliori. Non la stima per il coraggio bizzarro di quel «narciso soddisfatto» che «sapeva usare il corpo come un attore». «Voleva rivedermi e volevo rivederlo, mi aveva invitata... Nella scelta di alzarsi per parlarmi c' era il ricordo implicito del nostro passato. E quel pomeriggio mi guardava con una specie di amore».
PANNELLA BIANCA BECCALLI