CLAUDIO VELARDI IN VERSIONE RUNNER
1 - CLAUDIO VELARDI: «MASSIMO FA SPESSO DEI GUAI: TROPPA CONSIDERAZIONE DI SÉ»
Domenico Di Sanzo per "il Giornale"
«È un classico, nella sua storia politica ha fatto spesso questi errori». Claudio Velardi, ora giornalista, saggista, blogger e presidente della Fondazione Ottimisti e Razionali, già capo dello Staff di Massimo D'Alema a Palazzo Chigi dal 1998 al 2000, non pensa che dietro le ultime uscite dell'ex premier su Mario Draghi e Matteo Renzi ci sia chissà quale raffinata strategia.
VELARDI E MASSIMO DALEMA
«Sembra strano che un uomo con la sua esperienza politica commetta queste ingenuità, ma è così», taglia corto uno dei famigerati Lothar (per via della testa rasata) dalemiani degli anni d'oro.
Quindi D'Alema non vuole ottenere nulla?
«Penso di no. Come a volte gli capita l'ha fatta fuori dal seminato, con l'unico risultato che adesso può dare una mano a una sorta di riconciliazione tra Enrico Letta e Matteo Renzi».
Allora è solo il narcisismo dei leader?
«Sì, si è impiccato a una battuta per piacere a un pubblico che lo stava ascoltando e pendeva dalle sue labbra. Non è la prima volta che eccede e combina guai, facendo dei danni a se stesso».
MASSIMO DALEMA ENRICO LETTA
Sembra di sentire parlare di Renzi.
«Come molti leader, sono entrambi dei narcisi. D'Alema ha fatto quelle uscite per l'altissima considerazione che ha di sé e perché immagina che potrà recuperare grazie alla sua intelligenza politica».
Però lo stop a Draghi al Colle non suona come un controcanto a Letta, che sembra il meno ostile a questa ipotesi?
MASSIMO DALEMA E MATTEO RENZI
«Il fatto è che lui, non volendo, ha dato centralità a Letta, dandogli la possibilità di diventare il regista dell'elezione del prossimo presidente della Repubblica. Letta ha fatto un'uscita politicamente molto intelligente quando ha "ripreso" D'Alema per le frasi sulla "malattia" del renzismo e si è riguadagnato così l'apprezzamento di una componente molto importante del suo partito in vista del Quirinale, quella degli ex renziani.
LA VIDEOCHIAMATA ZOOM DI FINE ANNO DI ARTICOLO 1
Poi il passaggio di D'Alema su Draghi che si autoeleggerebbe capo dello Stato è un'altra battuta infelice, nessuno può fare una battuta del genere perché è il Parlamento che elegge il presidente della Repubblica. Ma tutto è sempre dovuto al vizio del narcisismo».
Non è paradossale che si parli del Pd a proposito di Renzi e D'Alema, che sono usciti entrambi da quel partito?
«No, loro due sono sicuramente dei leader importanti, anche se uno è accreditato dai sondaggi intorno al 2% e l'altro ha ottenuto il 3% alle ultime elezioni politiche. Ma parliamo del Pd perché resta il baricentro del sistema.
MASSIMO DALEMA GIUSEPPE CONTE
In vista del Quirinale Letta può fare il regista ma deve dialogare con i centristi e con la Lega e Forza Italia, oltre che con Giorgia Meloni. Renzi invece, dopo le brillanti operazioni del Conte 2 e del governo Draghi dovrà accettare un ruolo da comprimario. Nel caso facesse prevalere il suo narcisismo rischierebbe di essere marginale».
massimo d'ALEMA rondolino VELARDI
2 - IL BOOMERANG DI D'ALEMA: LE PORTE DEL PD SI CHIUDONO
Massimo Malpica per "il Giornale"
Non è ancora rientrato nel Pd, ma la querida presencia del comandante Max D'Alema già fa sentire i suoi effetti sul partito guidato da Enrico Letta. Il segretario s' era inventato la piattaforma delle «agorà democratiche» proprio per permettere il ritorno al porto d'origine dei transfughi targati Leu e Articolo 1. Un'operazione lasciata passare dal partito, nonostante renziani e centristi dem non avessero troppo gradito, e il rientro della «Ditta» nel Pd era praticamente cosa fatta.
CLAUDIO VELARDI MARCO MINNITI
Poi ecco che a Capodanno D'Alema si dedica alla didattica a distanza per spiegare agli allievi del Nazareno di quale grave malattia avevano sofferto, e alla diagnosi di «renzismo», il barchino dei transfughi con D'Alema improvvisatosi timoniere, manco fosse tornato su Ikarus, si è ritrovato insabbiato sulla via del ritorno a casa.
enrico letta matteo renzi
Prima travolto dalle critiche dello stesso Renzi, poi da quelle dell'ala riformista del Pd e infine gelato anche da Letta, irritato per l'uscita sguaiata di Baffino e pronto a difendere pure gli anni a guida renziana del Partito democratico. Una mossa decisa e poco diplomatica, che ha stupito pure - piacevolmente - l'area moderata del partito.
LA VIDEOCHIAMATA ZOOM DI FINE ANNO DI ARTICOLO 1
Così quel passo del gambero degli ex compagni verso la casa madre ha subito un'inaspettata battuta d'arresto, confermata dalle dichiarazioni del day after, con il Pd che si stringe intorno al segretario per aver «chiuso» con durezza il caso D'Alema e Articolo Uno che, come ricorda Arturo Scotto, temporeggia e rinvia la questione dello «sbarco» nel Pd alla primavera, quando finiranno le agorà.
E quando, si spera, le acque saranno tornate calme. Adesso non lo sono ancora. Andrea Marcucci arriva a chiedere un congresso anticipato. E Beppe Fioroni avverte: «Se la logica delle Agorà fosse questa», ovvero un ritorno al passato, «la scommessa di Letta sarebbe inficiata dal revanscismo degli esuli».
ENRICO LETTA MASSIMO DALEMA
Ma il buon D'Alema ha messo in moto un effetto anche nella delicata partita del Quirinale. Proprio mentre si profila un nuovo vertice, dopo quello di Natale, per stoppare le uscite in ordine sparso tra dem, pentastellati e sinistra, e mettere a punto un percorso comune sul dossier Colle tra Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza, a complicare la quadra arriva la sparata di D'Alema, che ha criticato l'autocandidatura di Draghi bollandolo come mera espressione del «potere della grande finanza internazionale».
Ma forse il «sabotaggio» dalemiano potrebbe avere come conseguenza un effetto opposto a quello desiderato da Baffino. E il suo astio verso il premier avrebbe in effetti già fatto compattare intorno al nome di Draghi un buon numero di grandi elettori progressisti nell'area centrista.
claudio velardi
Tra i riformisti del Pd ora si ironizza sulla capacità di D'Alema di orientare - ma al contrario - le elezioni del capo dello Stato: nel 2006, con la mancata convergenza sulla sua candidatura che portò al Quirinale Giorgio Napolitano; nel 2013, quando Baffino appoggiava Marini, battuto ancora dal secondo mandato di Napolitano; e infine nel 2015, con il supposto tentativo - rivelato da Renzi anni dopo - di chiudere un accordo con il centrodestra sul nome di Giuliano Amato, che finì per innescare l'elezione di Sergio Mattarella.
massimo d'alema regala la maglietta di totti a renzi
Ora i sostenitori dell'ipotesi Draghi sperano che l'intervento a gamba tesa di Baffino confermi la tendenza dell'ex premier a sbagliare candidato. Di certo, l'incertezza nel Pd è ancora tanta: un centinaio dei suoi grandi elettori avrebbe cominciato a caldeggiare l'ipotesi, già tra le opzioni di Letta, di traslocare SuperMario da Palazzo Chigi al Quirinale.
CLAUDIO VELARDI