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    SHALOM SHARON - L’EX PREMIER DI ISRAELE IN COMA DA 8 ANNI È ALLO STATO TERMINALE - I MEDICI: “INUTILE INSISTERE CON LE CURE”


     
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    Maurizio Molinari per ‘La Stampa'

    È una crisi renale ad aver aggravato le condizioni di Ariel Sharon, l'ex premier di Israele in coma dal 4 gennaio 2006, ricoverato allo Sheba Medical Center dell'ospedale di Tel Hashomer.

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    «Non è stato sottoposto a una dialisi, riceve ancora i trattamenti medici degli ultimi anni» ha spiegato Zeev Rotstein, che ne segue le cure. La scelta di non procedere con la dialisi conferma l'aggravamento delle condizioni di cui è trapelata notizia a seguito della visita in ospedale di un ministro del governo israeliano che ha parlato con i famigliari. «Se Sharon avesse problemi solo con un organo sarebbe una storia differente e la dialisi forse potrebbe essere eseguita - spiega Rotstein - ma lui ha più organi danneggiati».

    Ciò significa che arginare il peggioramento delle condizioni per i medici è una sfida che diventa ogni giorno più difficile. È stato anche confermato che un mese e mezzo fa l'ex premier è stato sottoposto a un intervento chirurgico per risolvere dei problemi aggiuntivi sorti per l'alimentazione artificiale.

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    I politici nazionali riflettono il pathos con cui la popolazione vive quelli che potrebbero essere gli ultimi giorni di vita di uno dei comandanti militari e leader politici più amati e contestati. Il ministro della Giustizia, Tzipi Livni, che fondò il partito Kadima con Sharon, scrive su Facebook: «Non riesco a cessare di pensare ad Arik», il diminutivo più adoperato. E l'ex ministro degli Esteri Danny Ayalon, che fu uno stretto collaboratore di Sharon, si affida a twitter per far sapere a Omri e Gilad, figli dell'ex premier, «sono con voi in queste ore difficili».

    Ma la voce più ricercata e ascoltata è quella di Ranan Gissin, inseparabile portavoce di Sharon per oltre 15 anni. «I reni di Sharon sono peggiorati, non c'è dubbio che si trova in uno stato terminale e non c'è alcuna possibilità che si riprenda o migliori - dice Gissin in tv, con la tradizionale franchezza che lo ha sempre distinto - ma Sharon è un combattente e si sta battendo fino all'ultimo momento».

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    In questa estrema resistenza di un fisico indebolito dalle più gravi difficoltà, Gissin vede quasi un estremo messaggio che Sharon sta consegnando al suo Paese: «Se la sua volontà di conservare la vita è così forte, significa che abbiamo bisogno di persone come lui per continuare a progettare la costruzione dello Stato di Israele». Come dire: ad Israele servono in questo momento dei leader capaci di dimostrare la grinta che ebbe Ariel Sharon.

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    E si tratta di un messaggio con risvolti politici che non sfuggono in un Paese immerso nella discussione sul possibile imminente piano dell'amministrazione Obama per raggiungere un accordo definitivo fra Israele e Autorità nazionale palestinese.
    Omri Sharon, che è un ex deputato, afferma di «continuare ad avere speranza» in un recupero del padre, riferendosi agli esami che un anno fa riscontrarono un'inattesa reattività mentale a precisi stimoli - il tatto della mano, la vista di una foto di famiglia - ma Rotstein continua a parlare di «serio deterioramento della salute in corso» pur precisando che «da mercoledì la situazione è stabile».

    Domani sarà l'ottavo anniversario del grave ictus che colpì Sharon e la famiglia sembra intenzionata a sfruttare la coincidenza per aumentare l'attenzione del pubblico sull'eredità dell'undicesimo premier dello Stato ebraico che continua a dividere il Medio Oriente: per gli israeliani resta l'eroe militare che seppe fra l'altro rovesciare le sorti della Guerra del Kippur, salvando nell'ottobre del 1973 l'esistenza dello Stato, mentre i palestinesi continuano a contestargli la responsabilità nella strage dei campi profughi di Sabra e Chatila avvenuta nel settembre del 1982.

     

     

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