Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
BEZOS MACKENZIE SCOTT
Nel mondo anglosassone dall'Ottocento, quando Charles Dickens pubblicò A Christmas Carol, la favola del ricco avaro che si pente a Natale spunta ovunque, nei giorni delle feste, dai libri, dai teleschermi e nei teatri (ora chiusi per Covid).
MacKenzie Scott che annuncia di aver cominciato a donare l'enorme ricchezza piovutagli addosso dopo il divorzio da Jeff Bezos al ritmo di un miliardo di dollari al mese non è esattamente una Scrooge, visto che ha iniziato da tempo la sua attività filantropica. Ma, per contrasto, fa apparire simile all'avaro di Dickens il suo ex marito, l'uomo più ricco del mondo, che fin qui ha dato in beneficenza meno dell'1 per cento del suo patrimonio.
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Il fondatore di Amazon non ha mai firmato «The Pledge», l'impegno a donare almeno metà della propria ricchezza proposto dieci anni fa da Bill Gates ai miliardari. Ma dal 2010 a oggi le disuguaglianze sociali sono aumentate anziché diminuire, negli Stati Uniti più che altrove. E i 62 miliardari che hanno firmato quell'impegno, nonostante tutti i loro sforzi (chiamiamoli così) oggi hanno un patrimonio doppio (734 miliardi di dollari) rispetto a quello di dieci anni fa.
L'attività nella quale si è impegnata MacKenzie è di grande rilevanza non solo per la quantità di denaro che sta dando via a una velocità impressionante (1,7 miliardi a luglio e 4,2 miliardi negli ultimi 4 mesi) ma soprattutto per il modo in cui sta scegliendo destinatari davvero bisognosi e per il messaggio con il quale ha accompagnato le sue donazioni. In un articolo pubblicato sul sito Medium l'ex moglie di Bezos si mostra costernata per lo spettacolo di una crisi da coronavirus che aumenta ulteriormente le diseguaglianze riducendo i poveri alla disperazione e rendendo sempre più ricchi i protagonisti dell'economia digitale.
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Lei lo ha sperimentato in prima persona: i 38,3 miliardi avuti dal marito nell'accordo di divorzio (il 4 per cento delle azioni di Amazon) sono diventati oltre 62, nonostante le donazioni fatte nel frattempo, grazie alla continua crescita del valore della società di Bezos in Borsa. Così MacKenzie ha accelerato la sua attività filantropica superando addirittura quella di Bill Gates e Warren Buffett, i leader della generosità mondiale che nel 2019 hanno donato 5,1 miliardi di dollari.
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Ma la fondazione di Bill e Melinda Gates ha 1.600 dipendenti, mentre altri miliardari spesso donano a musei o alle loro ricche università. La Scott si è, invece, affidata a dei consulenti che hanno selezionato 384 beneficiari in tutti i 50 Stati dell'Unione considerati davvero bisognosi per carenze alimentari o perché colpiti da quelle che la filantropa chiama «disuguaglianze razziali»: così, oltre che alle banche del cibo per i poveri, la MacKenzie ha dato soldi per la sanità e anche l'istruzione delle comunità più vulnerabili.
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Ad esempio i 40 milioni di dollari alla Morgan State University, un'università di Baltimora frequentata soprattutto da afroamericani. Non sarà la generosità dei miliardari a risolvere i problemi sociali americani: il denaro distribuito, a loro discrezione, da poche decine di volenterosi non può riequilibrare gli effetti di un mercato del lavoro poco protetto e di un sistema tributario poco progressivo che premia i benestanti. Ma una miliardaria che pensa in termini sociali e cerca di aiutare chi ha più bisogno è sempre meglio di una filantropia da «club dei ricchi benefattori» (magari alla ricerca di sconti fiscali).
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