Estratto dell’articolo di Federico Berni per il “Corriere della Sera”
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L’astio, il rancore, «addirittura l’odio» serbato da Lorenzo D’Errico nei confronti del padre Carmine ha condotto il 38enne di Cusano Milanino a cadere preda di una «reazione a corto circuito» sfociata nell’aggressione del 30 dicembre 2021: ovvero 40 colpi inferti al papà 65enne (già malato oncologico in stato terminale), il cui corpo è stato successivamente portato in un’area industriale di Cerro Maggiore, e lì parzialmente bruciato. I giudici di Monza, nelle motivazioni della sentenza che il 21 giugno ha condannato D’Errico a 24 anni di reclusione, riconducono l’omicidio entro i contorni giuridici del classico caso di «dolo d’impeto».
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Una reazione «conseguenza» dell’ennesimo litigio con il familiare, che l’imputato ha accusato, durante il processo, di presunte molestie sessuali nei suoi confronti che sarebbero avvenute in età infantile. La vittima […] ed è stata massacrata con una piccozza da modellismo, un oggetto piccolo, ma molto affilato, con cui è stata colpita alla testa nell’appartamento di Cusano dove convivevano tra tensioni e litigi continui. In quel frangente, il padre avrebbe mimato un atto sessuale davanti al figlio, durante una discussione: «Un gesto evocativo di ricordi dolorosi e mai completamente metabolizzati, che ha travolto i freni psichici dell’imputato» […] Un «blackout mentale», dunque, «dovuto a forte eccitazione emotiva».
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Secondo il tribunale «va esclusa l’aggravante della crudeltà» nonostante la violenza dell’azione omicidiaria. Il richiamo porta a un orientamento della Cassazione in base al quale per riconoscere la sussistenza di questa circostanza, non basta «l’elevato numero di colpi» ma occorre «un ulteriore atteggiamento interiore» dell’omicida. In questo caso, c’è stata effettivamente «una serie abnorme di colpi», che però è stata dettata dallo «stato emotivo», e «non dalla volontà di provocare sofferenze ripetute».
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Nella valutazione per la concessione delle attenuanti generiche, poi, i giudici hanno considerato che Lorenzo D’Errico ha rinunciato a tutti i beni a favore degli zii, e ha chiesto di essere ammesso a un programma di giustizia riparativa: «Ulteriore fattiva dimostrazione di volontà riconciliatoria, per quanto possibile, con i familiari superstiti».
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