Vedo a Sky forti proteste contro Giuseppe Conte che è andato (giustamente) a Taranto.
Persone adirate gli gridano contro, e sono quasi faccia a faccia con lui. situazione pericolosa
— jacopo iacoboni (@jacopo_iacoboni) 8 novembre 2019
"Presidente, delle risposte si possono avere o è un confessionale?". "Troppe chiacchiere là davanti!!". "Ci vuole la chiusuraaa". Conte cerca di tradurre i discorsi che gli fa un giovane: "Quindi tu vorresti continuare con Mittal, ma senza scudo penale?"
— jacopo iacoboni (@jacopo_iacoboni) 8 novembre 2019
Cori intonati come in uno stadio: "Noi vogliamo vivere, oh eh oh, noi vogliamo vi-ve-re, oh eh oh".
"Presidente, vai in ospedale, vai a vedere i bimbi con le chemio". "Basta con le chiacchiere, chiusuraaa!!"
— jacopo iacoboni (@jacopo_iacoboni) 8 novembre 2019
"Conte, che farebbe padre Pio?". "Conte, pietà per i bambini di Taranto! Non sono scarafaggi".
— jacopo iacoboni (@jacopo_iacoboni) 8 novembre 2019
Cori intonati come in uno stadio: "Noi vogliamo vivere, oh eh oh, noi vogliamo vi-ve-re, oh eh oh".
"Presidente, vai in ospedale, vai a vedere i bimbi con le chemio". "Basta con le chiacchiere, chiusuraaa!!"
— jacopo iacoboni (@jacopo_iacoboni) 8 novembre 2019
Michelangelo Borrillo per Corriere.it
Cento minuti tra la folla. Con 300 persone che hanno aspettato le 17.20 dell’8 novembre 2019 per sfogare la rabbia repressa da più di 50 anni, tramandata, a Taranto, di madre in figlio. La giornata del premier Giuseppe Conte, fuori e dentro i cancelli di quella che fu l’Italsider, è cominciata nel parcheggio della portineria D, liberato in fretta e furia, con il carro attrezzi, dalle auto degli operai ma non dai rifiuti che lo fanno sembrare più triste di quanto in realtà già sia in una giornata di sciopero contro la chiusura della fabbrica. Uno sciopero con adesioni non altissime, «perché altrimenti si fa un favore all’azienda», spiegano gli operai che tornano a casa.
Per lasciare il campo all’altra Taranto, radunatasi nel parcheggio ad aspettare Conte. La Taranto delle mamme dei Tamburi, dei cassintegrati, dei licenziati, dei tarantini che non vogliono più il mostro. Così lo chiamano, mentre gridano al ritmo di Ta-ran-to li-be-ra. Tarantini di tutte le età che fanno da contraltare a una quindicina di sindaci arrivati dalla provincia, con tanto di fascia tricolore, per chiedere a Conte di «tutelare l’occupazione». Per fortuna quelli delle associazioni non li sentono.
Il premier dà appuntamento ai sindaci in serata, in prefettura, dove convoca anche il procuratore Carlo Maria Capristo per chiedergli, con ogni probabilità, la situazione dell’Altoforno 2, una delle situazioni a rischio che hanno indotto ArcelorMittal a dare l’addio a Taranto. Prima di incontrare le istituzioni e gli operai dentro la fabbrica, che invece gli riserveranno un’accoglienza più ospitale, condita anche da applausi, Conte decide di affrontare i cittadini che lo contestano. Per ascoltarli si fa strada addirittura tra la sua scorta: in un clima di tensione, le forze dell’ordine faticano a trattenere la folla; ma poi alla fine è lo stesso Conte a liberarsi di loro per incontrare quanta più gente possibile.
C’è Carla, la mamma che ha perso il figlio di 15 anni; Roberta, l’assistente sociale che fa la cameriera pur di non lasciare Taranto, ma vuole costruire la famiglia in un posto salubre; c’è l’operaio del laminatoio, che si sente «con la coscienza sporca perché porto a casa i veleni della fabbrica, ma non posso licenziarmi»; e poi il ragazzo incappucciato al quale Conte intima di scoprirsi il volto prima di ascoltarlo, e Sabrina, la mamma dei Tamburi, che vuole «la chiusura della fabbrica e la bonifica utilizzando gli operai», quello che gli ambientalisti chiamano il Piano Taranto. Conte prende nota, anche del numero di telefono della donna, promettendo di andare a trovarla a casa sua dopo cena per cercare di capire meglio la proposta. Carla Luccarelli, che ha perso il figlio Giorgio per un sarcoma, mostra la sua foto al premier: «Voleva vivere e avere figli, ma non gli è stato possibile.
E allora adesso chiudiamo: qua ci sono più morti che nascite». Il leitmotiv è sempre lo stesso, interrotto solo dai cori noi-vogliamo-vivere: «Perché a Genova è stato possibile chiudere l’area a caldo e qui no? Perché la Germania vara il piano verde e noi no?». Tra la folla si fa spazio anche Pasquale, licenziato giovedì: vuole gridare la sua rabbia a Conte, a cinque centimetri dalla sua faccia. Il presidente pugliese ascolta tutti: «Chi altri vuole parlare?».
E si fa avanti Giuseppe, disoccupato: «Abito ai Tamburi e ho sempre rifiutato di lavorare qui perché ho conosciuto gente che ci è morta. Ho 38 anni e non voglio avere figli in questa città». Conte ascolta tutti, ma nella risposta è sincero senza illudere nessuno: «Sono venuto qui senza maschera, mi avete visto, ma non ho la soluzione in tasca». All’interno dello stabilimento, poi, in un consiglio di fabbrica più sereno, tra i rappresentanti dell’altra Taranto, quella che non vuole e non può prescindere dal lavoro, dà qualche rassicurazione in più: «Il dossier ex Ilva — dice ai 200 operai raccolti intorno a lui, dopo averli ascoltati per un’ora — è prioritario per il governo. Dobbiamo gestirlo tutti uniti, come sistema Paese». Ma bisogna convincere l’altra Taranto, quella che grida «o si chiude ora o mai più»
conte all'ilva
2. GUALTIERI
Da ansa.it
"L'ipotesi sul tavolo è che Mittal adempia ai propri impegni, deve sviluppare investimenti, il piano ambientale, il piano industriale che si è impegnata a portare avanti, è questa la prospettiva del Governo": lo ha detto il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri rispondendo a chi gli chiedeva se la nazionalizzazione di Ilva fosse un'ipotesi sul tavolo.
conte all'ilva conte all'ilva conte all'ilva conte all'ilva conte all'ilva conte all'ilva
conte all'ilva