Francesco Battistini per www.corriere.it
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«Mani sul cofano, favorite i documenti…». Ecco, fregati. Sono stati quei contadini, è sicuro. Quando abbiamo passato la fattoria Tadeusza, uno l’abbiamo visto: s’è alzato sui campi, ci ha scrutato fin verso il confine, s’è portato il cellulare all’orecchio. Maledetto spione. Tempo cinque minuti e dal sentiero sono spuntati i gendarmi della Straz Graniczna, la guardia di frontiera. Braghe mimetiche e radio gracchianti, un viavai di macchine della Zandarmeria militare, perfino un elicottero. Un’ora e mezza di controlli: chi siete, che fate, avanti aprite il baule, fuori i telefonini, cancellate questi video, non sapete che è vietato, guardate che si rischia l’arresto… Mani sul cofano e bavaglio alla bocca: da lunedì c’è quel che nemmeno Trump in Messico aveva osato, lo stato d’emergenza.
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E su quest’estrema frontiera orientale, tre chilometri di profondità, 183 fra città e villaggi, qui la Polonia diventa un po’ meno europea e un po’ più bielorussa. A comandare sono solo esercito e polizia: niente foto né domande, zero giornalisti e umanitari. «L’immigrazione è un’invasione!», 1.935 solo nell’ultima settimana, e per un mese i diritti saranno sospesi lungo tutti i 185 chilometri di confine. Duemila soldati dispiegati, coprifuoco serale, nessuna manifestazione è autorizzata. La prima volta dal 1981, dai tempi del comunismo. Da quando c’era il Muro di Berlino e chi s’immaginava ne avrebbero costruito un altro qui, poco sopra Lublino.
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Posano due chilometri di filo spinato al giorno. Calcolano le spaziature. L’avvolgono a triplo giro. Allineano le estremità. Piantano le staffe. Un bel lavoro, non c’è che dire. Con le pinze, per non sentir dolore, neanche quello dei migranti. In guanti bianchi di lattice rinforzato, per non sporcarsi con le sozzure del mondo. «Lo faremo uguale agli ungheresi», aveva promesso in agosto il ministro dell’Interno, e così è: il Muro della Polonia è un metro più basso e 340 chilometri più corto di quello d’Orbán, ma promette di funzionare uguale, anche di più. «L’unica risposta possibile a una minaccia come quella dei nazisti e dei sovietici nel ‘39», esagera il presidente polacco Andrzej Duda, amico dei sovranisti.
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«Una disgustosa, cupa propaganda sulla pelle dei migranti», fa opposizione da sinistra Donald Tusk, l’ex presidente polacco del Consiglio europeo: «Una barriera alta tre metri e mezzo per difenderci da chi? Dalla povera gente che cerca solo un posto su questa Terra?».
L’ultimo Muro taglia foreste e fiumi, costeggia chiese e paesi. S’addiziona alle barriere già erette in Grecia e Bulgaria, Austria e Croazia. Indigna il mondo, proprio nel pieno dell’esodo dall’Afghanistan talebanizzato. Rattrista i contadini, che l’autunno vedevano sconfinare mandrie di bisonti e ora chissà. Tranquillizza le famigliole, che si trovavano l’iracheno nel giardino di casa. Come si dice in polacco «Not in my Back Yard»? Da settimane, 32 afghani «nimby» sono intrappolati nella boscaglia d’Usnarz Gorny, al di là della rete, e non possono venire in questo cortile: li riforniscono d’acqua e cibo, perché l’ha imposto la Corte europea, ma niente asilo.
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A sentire i sondaggi, i polacchi sono d’accordo all’86% col governo e disapprovano i dodici pacifisti che hanno tentato di divellere il filo spinato. Perfino il kebabbaro di Kuznica: «È povera gente — dice il giordano Ahmed —, ma qui non c’è posto…». Al santuario di Sant’Antonio, ci si prepara all’adorazione dell’ostia miracolosa e la Polonia Fidelis, inginocchiata e assorta nelle preghiere, non è che si danni tanto per i fratelli migranti: «Sento che la gente è rassicurata dalla presenza dei militari — spiega padre Wojciech — e un po’ lo sono anch’io. È una faccenda politica, non di solidarietà. Perché un anno fa, in Bielorussia, non c’erano profughi?».
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Appunto: che ci fanno qui? Come in Lituania e in Lettonia, altri due Paesi che stanno apparecchiando il filo spinato, questa crisi migratoria è diversa dal resto d’Europa. E Kuznica somiglia poco a Lampedusa o a Lesbo. L’ultimo dittatore del continente, Aleksandar Lukashenko, traballante per le contestazioni interne e stretto dalle sanzioni Ue, ha imitato il turco Erdogan e deciso di vendicarsi: «Ho sempre fermato per conto vostro i migranti e la droga — ha detto agli europei —, ora pensateci voi…».
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Di colpo, ha tolto l’obbligo di visto per iracheni, afghani e siriani che vogliano entrare in Bielorussia. E in otto mesi, ha rovesciato sull’Europa una quantità di disperati cinquanta volte superiore a quella dell’anno scorso. Destinazione Lettonia, Lituania e Polonia, dove guarda caso si sono rifugiati gli oppositori di Lukashenko e la velocista scappata dalle Olimpiadi di Tokyo. Gli immigrati come arma di destabilizzazione di massa: Varsavia ne è certa, il dittatore paga il viaggio a chi vuole entrare nell’Ue. Ci sono i video di poliziotti bielorussi che accompagnano gruppi al confine.
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Ai profughi sono state trovate in tasca boarding pass da Bagdad e da Istanbul, l’Iraqi Airways s’è convinta a cancellare il collegamento diretto con Minsk. E le reazioni dell’Ue verso il governo ultranazionalista di Morawiecki, se paragonate a Orbán, stavolta sono morbide: la Repubblica Ceca ha mandato ai polacchi mezzo milione d’euro di contributo, il Gruppo di Visegrad applaude, nessuno che attivi Frontex e le guardie frontaliere europee. «C’è un uso strumentale dei migranti dalla Bielorussia — riconosce il ministro europeo Josep Borrell —, diamo tutto il nostro supporto a Polonia, Lituania e Lettonia».
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Qualcuno imbarazzato, ancora c’è. «Politici, intellettuali, cattolici, lo siamo in tanti», confida al Corriere il regista Krzystof Zanussi, già Leone d’oro a Venezia: «È il problema che ogni Paese occidentale sta affrontando: li consideriamo persone illegali o esseri umani? Profughi o migranti economici? È intollerabile il rifiuto dello straniero. Ma anche la paura dell’Islam qui non è mai stata una cosa solo teorica, e bisogna tenerne conto. Questa è una frontiera europea, non solo polacca, ed è con l’Europa che s’affronta il problema Bielorussia. Lo stato d’emergenza è una pessima reazione isterica, serve solo a questo governo sovranista per spaventare l’opinione pubblica e zittire il dissenso, accusandolo di tradimento».
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Che cos’avrebbe detto di questo Muro, il suo amico Wojtyla? «Quando scoppiò la guerra in Iraq, si schierò con l’uomo e non con le ragioni politiche. Oggi farebbe lo stesso». Ma c’era stata Solidarnosc, allora: solidarietà. Ed era un’altra Europa, un’altra Polonia.
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