ALBERTO MANTOVANI
Estratto dell’articolo di Adriana Bazzi per il “Corriere della Sera”
Capita anche a scienziati italiani di fama internazionale, e non solo al popolo dei giovani frequentatori di discoteche, di trascorrere qualche giorno di vacanza in Grecia: raggiungiamo al telefono Alberto Mantovani, direttore scientifico dell'Istituto Clinico Humanitas di Milano e professore Emerito dell'Humanitas University. Ci risponde da un bosco dove è più facile prendere la linea, anche se si trova vicino ad Atene. […]
[…] questo nuovo coronavirus sta «perdendo pezzi», cioè sta mutando e diventando meno aggressivo, come ci informa la cronaca di questi giorni?
«Sono un immunologo e mi rifaccio alla letteratura scientifica: l'unico dato "sicuro" arriva da un lavoro pubblicato sulla rivista Cell che dice che il virus è "stabile" e non sta diventando più "gentile". Altre osservazioni (che parlano di una minore aggressività, ndr ) si basano su piccoli studi, non ancora pubblicati. Ma creano messaggi distorti che confondono le persone».
terapia intensiva
Sembra che la malattia sia meno grave...
«Ecco, occorre distinguere fra il virus (che non è cambiato) e la malattia che, invece, si è attenuata. Per diverse ragioni. La prima è che, comunque, le polmoniti da virus respiratori praticamente scompaiono d'estate. La seconda è che nei confronti delle persone più fragili, come gli anziani, si sta più attenti. La terza è che sono i giovani i più colpiti, ma hanno più difese. Non dimentichiamoci, però, che il paziente "zero" di Codogno, finito in coma, aveva 37 anni ed era un maratoneta».
Il messaggio, quindi, è quello di non abbassare mai la guardia.
«Certo. Sono un amante dell'alpinismo e qualche settimana fa, arrivato in un rifugio, avevo una gran voglia di togliermi la mascherina, ma non l'ho fatto. Avevo visto un cameriere senza. Si tratta di dare il buon esempio: è anche una questione di responsabilità sociale».
IMMUNOLOGO ALBERTO MANTOVANI
La prevenzione rimane un caposaldo nella lotta al contagio, ma quanto, invece, ci possiamo aspettare dai farmaci?
«Ci siamo accorti che gli antivirali, quelli usati contro altri tipi di virus e utilizzati all'inizio dell'epidemia, non funzionano contro il nuovo coronavirus e, anzi, possono essere dannosi. Si salva il "remdesivir" che accorcia di qualche giorno i ricoveri ospedalieri. Più interessante il "desametasone", un vecchio cortisonico, capace di ridurre in qualche modo la mortalità. E pure chi opera nelle terapie intensive ha imparato a trattare meglio i pazienti».
E per il futuro?
«Ci sono grandi speranze per gli anticorpi monoclonali che possono intercettare il virus. Qualche perplessità, invece, esiste per le terapie con il plasma di soggetti infettati».
E il vaccino?
«Un editoriale, appena pubblicato su Science , titola "Attenti alle scorciatoie". In altre parole, un vaccino, per essere utilizzato su ampia scala, deve dimostrare di essere efficace e sicuro. Insomma, non abbiamo bisogno di un vaccino "cavallo purosangue" che brucia le tappe, ma di un "cavallo da tiro" e forse più di uno, capaci di lavorare, magari insieme, sulla lunga distanza».
RESPIRATORE PER LA TERAPIA INTENSIVA
Non trova che ci sia un po' di confusione nella pubblicazione di studi su farmaci e vaccini nelle riviste scientifiche? Alcuni lavori sul coronavirus sono stati «ritrattati», cioè ritirati dai giornali su cui erano stati pubblicati.
«La ricerca sull'idrossiclorochina (un farmaco antimalarico proposto per la cura dell'infezione e sostenuto dal Presidente americano Donald Trump, ndr ) è emblematica. La scienza è imperfetta, ma certi ricercatori "barano": alla fine, però, vengono scoperti». […]