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    L'INCUBO CHE MINACCIAVA I PARLAMENTARI SI È DISSOLTO: IL VITALIZIO È SALVO! - FORMALMENTE LA SCADENZA PER OTTENERE LA PENSIONE È FISSATA AL 23 SETTEMBRE, QUANDO LA LEGISLATURA TOCCHERÀ I QUATTRO ANNI, SEI MESI E UN GIORNO NECESSARI A FAR SCATTARE GLI EMOLUMENTI DOPO I SESSANT'ANNI - IN REALTÀ GIÀ ORA DEPUTATI E SENATORI SONO GARANTITI, PERCHÉ LA LEGGE PRESCRIVE CHE...


     
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    Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”

     

    GIUSEPPE CONTE E MARIO DRAGHI GIUSEPPE CONTE E MARIO DRAGHI

    L'incubo che minacciava le ambizioni dei parlamentari si è dissolto: il vitalizio è salvo.

    Formalmente la scadenza per ottenere la pensione è fissata al 23 settembre, quando la legislatura toccherà i quattro anni, sei mesi e un giorno necessari a far scattare gli emolumenti dopo i sessant' anni.

     

    In realtà già ora deputati e senatori uscenti sono garantiti, perché la legge prescrive che resteranno in carica fino alla prima seduta del prossimo Parlamento. E anche se le Camere venissero sciolte oggi, tra il periodo di campagna elettorale, il giorno del voto e l'insediamento dei nuovi rappresentanti del popolo, passerebbero almeno ottanta giorni.

    Così la meta tanto ambita è stata di fatto raggiunta.

     

    palazzo chigi palazzo chigi

    E insieme ad essa cade l'argomento che in questa fase ha tenuto banco nel Palazzo, al punto da essere elevato a fattore politico: la tesi cioè che nessuna mossa di partito avrebbe potuto portare alla caduta delle Camere fino a settembre, in nome degli interessi (personali) dei singoli parlamentari.

     

    Che di qui in avanti saranno sicuri di intascare mille euro al mese per ogni legislatura completata. Insomma, l'alibi del vitalizio non c'è più. Ma questo non inciderà sul timing di Palazzo Chigi, perché - spiega un esponente dem - «nessun partito della maggioranza ha la forza di mandare anzitempo a casa Draghi».

     

    draghi conte draghi conte

    A prescindere da quanto farà il M5S. Il modo in cui il capo dei grillini sta muovendo contro il premier è «la scopiazzatura della strategia con cui Renzi lo mandò a casa un anno e mezzo fa», racconta un ministro che sedeva anche nel Conte-bis: «Conte ha esordito alzando il tono dello scontro. Poi ha chiesto un segno di "discontinuità" al governo e infine ha presentato un documento a Draghi. Proprio come fece Iv prima di ritirargli la fiducia».

     

    conte renzi conte renzi

    Ma un conto sono gli atti, un conto la capacità di gestirli politicamente, portandosi dietro tutti i grillini. E l'ex premier manifesta questi limiti: più che un leader è il «portavoce» di due diverse e contrapposte istanze nel Movimento. È chiaro che presto o tardi le tensioni nei Cinque Stelle si scaricheranno sui vertici del partito o sull'esecutivo. Ma anche nel caso in cui Conte rompesse con il governo non sarebbe scontata la fine della legislatura.

     

    Già nel Pd si nota una differenza d'impostazione tra Letta e Franceschini: la scorsa settimana il segretario ha annunciato che «se il M5S uscisse dalla maggioranza si andrebbe alle urne», mentre il ministro ha detto che «se il M5S uscisse dalla maggioranza non si potrebbe più fare l'alleanza».

     

    LETTA FRANCESCHINI LETTA FRANCESCHINI

    E ieri alla riunione dei deputati dem, quando la capogruppo Serracchiani ha riproposto la tesi di Letta, nella sala è stato tutto uno scambio di sguardi e di sorrisi. «Ma chi ci crede che il nostro partito darebbe il benservito all'uomo della Bce per andare alle elezioni?», ha commentato uno dei partecipanti: «Zingaretti ci provò due volte. E prima nacque il Conte-bis, poi arrivò Draghi».

    debora serracchiani enrico letta debora serracchiani enrico letta

     

    Una cosa è certa: qualora il Movimento rompesse con Palazzo Chigi, la Lega non si muoverebbe e lascerebbe al Pd la prima mossa. Su questo punto almeno Salvini e Giorgetti hanno raggiunto un compromesso. Per tutta una serie di ragioni il Capitano non può e non vuole intestarsi la paternità del voto anticipato: intanto mira a difendere i consensi del suo partito, che per quanto in calo rappresentano una dote ben maggiore di quella di cui dispone Conte; eppoi non intende prestare il fianco a Meloni, che aspetta di infilzarlo con un «finalmente» per sottolineare il fallimento delle larghe intese.

    giancarlo giorgetti e matteo salvini 2 giancarlo giorgetti e matteo salvini 2

     

    Semmai il Carroccio si appresta ad alzare di più i decibel nella maggioranza per mostrarsi incisivo e determinante sui provvedimenti di governo. Ieri i capigruppo leghisti hanno puntato l'indice contro la norma sul «de minimis» legata al tetto dell'energia. E subito dopo il ministro Giorgetti ha chiesto all'Economia di «correggere urgentemente il testo». Il nodo dei vitalizi è sciolto. Quello politico resta intatto.

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