Lorenzo Simoncelli per “la Stampa”
UNA STRADA DI MOGADISCIO
Lo scorso anno, per 91 adolescenti inglesi di origine somala, l' incubo è iniziato con la scusa di un viaggio in Somalia per rivedere i parenti dopo tanti anni. Poche settimane dopo, la triste scoperta che Londra non l' avrebbero più vista, che i vestiti da teenager li avrebbero dovuti abbandonare e che i fidati genitori si erano trasformati nei loro peggiori carnefici.
Per i ragazzi la prospettiva di lunghi periodi in centri di rieducazione, per le ragazze matrimoni combinati con uomini somali. Una decisione presa dalle famiglie per «riportare sulla retta via» figli che, a detta loro, si stavano pericolosamente avvicinando al mondo della droga e del crimine londinese.
GIOVANI MUSULMANI A LONDRA
Secondo un' indagine realizzata dal Ministero degli Interni inglese, una volta arrivati in Somalia, gli adolescenti vengono forzati a frequentare dei centri in cui sono sottoposti ad una rieducazione culturale in cui sono vietate le abitudini occidentali, come ad esempio l' uso di Internet e dei social media.
Un processo che segue le linee guida della dhaqan celis, il principio somalo per cui la comunità è l' unico modo per «rimettere in carreggiata» i giovani che si erano «persi». Valori imposti anche con le maniere forti se necessario, come successo ad alcune ragazze, che hanno testimoniato attraverso l' ambasciata inglese a Mogadiscio di aver subito violenze fisiche e sessuali.
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Soprattutto per le giovani, la maggior parte con meno di 15 anni, l' unica via d' uscita dai centri è accettare matrimoni combinati. Ragazze costrette fin da piccole ad usanze culturali in grado di ledere la loro dignità di donne come nel caso delle mutilazioni genitali, pratica ancora molto frequente nel Paese africano.
Detenuti nelle «scuole»
«In Somalia vengono considerate scuole a tutti gli effetti, per noi, invece, sono centri di detenzione, dove i giovani subiscono violenze fisiche e psichiche - ha detto in un' intervista al quotidiano londinese Guardian David Myers, capo del Dipartimento che analizza i casi di matrimoni combinati al Ministero dell' Interno inglese - per questi adolescenti inglesi l' unico modo per sfuggire da questo contesto è sposarsi con un cittadino somalo».
GIOVANI MUSULMANI A LONDRA
Secondo i dati rilasciati dal dicastero inglese, nell' ultimo anno, i casi sarebbero aumentati del 100% e la maggior parte degli adolescenti coinvolti sarebbero ragazze, superando anche l' India, il Paese che, fino ad oggi, aveva il maggior numero di casi di matrimoni forzati con fini rieducativi.
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Abdillahi Abokor, un cittadino inglese di origine somale, tornato in Somalia dopo aver vissuto per molti anni a Londra e lavorato per le Nazioni Unite, ha ammesso che esistono casi di ragazze rimpatriate dall' Europa e costrette a matrimoni combinati. «È un modo per migliorare la loro vita - sostiene Abokor - i genitori li vogliono proteggere dalla cattiva strada che stavano prendendo in Europa». «Molti dei ragazzi che frequentano i centri inventano di aver subito violenze perché preferiscono tornare alle sregolatezze della vita occidentale - prosegue l' uomo padre di quattro figli - anche io presto farò tornare i miei ragazzi in Somalia.
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Il futuro di un giovane somalo è segnato in Inghilterra, sei costretto ad entrare nelle gang e non voglio vedere i miei figli uccisi». Le numerose associazioni somale presenti nel Regno Unito hanno negato la diffusione del fenomeno nel Paese, esclusi alcuni casi a Londra.
Sono, invece, in aumento le organizzazioni, soprattutto nella capitale inglese, che lavorano per evitare che i giovani finiscano invischiati in questa tratta garantendo loro protezione e rifugio. Sahra Abdi (nome fittizio), madre di 6 figli e al vertice della Lodge Lane Somali di Liverpool, un' associazione che tutela le tradizioni culturali somale, recentemente è stata fermata all' aeroporto con le sue tre figlie di 10,12,14 anni dalle autorità inglesi per paura che il piano di far sposare le figlie minorenni prendesse piede. Dopo le denunce di abusi sessuali di alcune ragazze, anche il governo somalo ha iniziato a monitorare più da vicino i cosiddetti «centri rieducativi».