Marina De Ghantuz Cubbe per “la Repubblica”
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È l'istituto di ricerca e di promozione della cultura del Regno Unito più prestigioso della Capitale, se non d'Italia. Ma la British School è stata anche un incubo, un luogo di vessazioni che ancora fanno male a chi le ha subìte: «Bullismo, intimidazioni erano all'ordine del giorno - racconta chi ha passato anni infernali in via Gramsci, nel quartiere Parioli di Roma - l'atmosfera era tossica e nessuno ha mai chiesto scusa».
La bufera sull'istituto che ha sede nel padiglione britannico realizzato dall'architetto Edwin Lutyens per l'Esposizione internazionale di Roma del 1911, è iniziata tre anni fa, quando 24 persone tra dipendenti, ex dipendenti ed ex alunni, hanno denunciato come l'ambiente di lavoro fosse malsano e pericoloso, nonché il modo in cui venivano sfruttati per compiti che non gli spettavano.
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A raccontare la vicenda è stato il quotidiano britannico The Guardian: all'epoca dei fatti il direttore era Stephen Milner che pochi mesi dopo essere finito sotto accusa, nel 2021 è tornato all'Università italiana di Manchester dove è anche presidente onorario della "Societa Dante Alighieri". Se con il professore è stato impossibile parlare, un ex dipendente dell'istituto racconta invece dei suoi modi «umilianti e perversi» di trattare lo staff, composto da una trentina di persone: «Nessuno poteva aiutarci perché tutti avevano paura».
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Anche adesso che l'incubo è finito gli ex dipendenti che si sono allontanati dalla British School non vogliono rivelare il loro nome. Questo nonostante le inchieste interne che sono state portate avanti negli ultimi due anni e che però rimangono riservate. Cosa ne sia delle denunce e dei reclami che sono stati sporti dalle persone dello staff non è dato sapere e il sospetto degli ex dipendenti è che si voglia «insabbiare» quanto accaduto.
In parte però, grazie alle testimonianze raccolte dall'Observer (il periodico del Guardian), si è venuto a sapere che il personale soffriva di «problemi di salute fisica e mentale » a causa delle cattive condizioni di lavoro. Oltre allo sfruttamento, infatti, ci sono state anche delle ritorsioni nei confronti di chi si ribellava, dal mobbing fino ad arrivare al licenziamento.
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Una delle persone che si è ritrovata nel vortice dei maltrattamenti, ha raccontato di essere stata costretta a fare anche la custode notturna, armata di torcia, nonostante il contratto da ricercatore. Una notte le è capitato di trovare «un uomo nudo in un'aula e ho dovuto affrontarlo. Penso che fosse drogato». Quando si è lamentata di questo tipo di compiti che esulavano dal suo contratto, è stata intimidita: prima le hanno detto che non avrebbe avuto ferie se non avesse svolto anche i lavori fuori orario. Poi, di fronte al suo rifiuto, è stata licenziata. Ma gli abusi erano quotidiani, come gocce cinesi: «I progetti presentati dai ricercatori venivano puntualmente bocciati e dichiarati inidonei, le riunioni organizzate da tempo disdette all'ultimo minuto mandando all'aria giorni e giorni di lavoro».
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Le denunce e le lamentele non sono rimaste isolate a singoli casi e nel 2020 il consiglio direttivo dell'Accademia ha fatto partire delle indagini interne: i risultati sono arrivati la scorsa settimana ma come detto nulla è stato pubblicato o reso noto e chi ha subito quei maltrattamenti pensa che giustizia non sia stata fatta. Tutt'altro. La British School at Rome riceve la metà dei finanziamenti dalla British Academy (a sua volta sovvenzionata dal governo del Regno Unito), che come riporta The Guardian, ha deciso di esaminare la situazione.
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All'interno della British School sono stati aperti degli sportelli per i reclami, poi è arrivata la promessa di alcune riforme: un nuovo codice di condotta e un nuovo approccio alla diversità e all'inclusione. Da gennaio 2021 a capo del consiglio c'è Mark Getty, nipote del petroliere Jean Paul Getty e co-fondatore della società di media Getty Images: poco dopo, a giugno, la raccolta di lamentele e denunce si è fermata. Ma sulla pelle degli ex dipendenti il senso di ingiustizia si fa ancora sentire.
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