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    QUANDO LA STAMPA CAMBIA IL CORSO DELLA STORIA - L'INDISCREZIONE SUL RUOLO DELL'INTELLIGENCE USA NELLA GUERRA IN UCRAINA HA PROVOCATO UNA TEMPESTA POLITICA MA RIAPRE ANCHE L'ETERNO DIBATTITO SULLE RESPONSABILITA' DEI MEDIA - LA LOGICA DEL "NEW YORK TIMES" E' SEMPRE LA STESSA: SE RICEVONO INFORMAZIONI RILEVANTI E VERIFICATE, LE PUBBLICANO, ED E' COSI' DA CINQUANT'ANNI, DA QUANDO...


     
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    Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"
     

    the new york times the new york times

    L'indiscrezione sulle informazioni dell'intelligence Usa che hanno consentito agli ucraini di uccidere alcuni generali russi e affondare la nave ammiraglia della flotta nel Mar Nero provoca una tempesta politica a Washington, ma riapre anche l'eterno dibattito sulla responsabilità della stampa che pubblicando certe notizie, spesso di fonte anonima, cambia la storia dell'America (come col Watergate che costò la presidenza a Richard Nixon) e delle sue guerre, a partire dall'effetto sul conflitto del Vietnam della pubblicazione, nel 1971, dei Pentagon Papers.
     

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    La logica è sempre la stessa e il New York Times, sul quale sono comparse indiscrezioni che ora fanno temere rappresaglie di Putin, l'ha spiegata più volte ai lettori: se i suoi giornalisti ricevono informazioni rilevanti da fonti attendibili con conoscenza diretta dei fatti, le notizie vengono verificate con altre fonti e poi vengono pubblicate anche se la fonte chiede di restare anonima. In alcune situazioni particolarmente gravi o delicate si può scegliere di non pubblicare o di temporeggiare, ma sono casi rarissimi e la scelta di non dare una notizia spetta ai vertici della testata giornalistica.
     

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    È così da oltre mezzo secolo: da quando, proprio nel caso dei Pentagon Papers, la Corte Suprema respinse il tentativo del presidente del tempo (sempre Nixon) di bloccare la pubblicazione sulla base del Primo emendamento della Costituzione Usa: quello che garantisce l'assoluta libertà di espressione.
     
    Questo spiega perché per adesso non sono emerse forti critiche al Times (abituale bersaglio di media e politici di destra) mentre Biden e gli altri membri del governo che si affannano a smentire se la prendono con le «gole profonde» e non con le ricostruzioni della stampa: magari definite «non accurate», ma senza mettere in dubbio che siano basate su indiscrezioni reali.
     

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    Sotto la superficie, comunque, un certo malessere sembra diffondersi anche tra i giornalisti e lo stesso articolo pubblicato ieri da Tom Friedman sul Times sembra portarne qualche traccia. I motivi sono due: intanto i reporter, che vorrebbero evitare questi leak che riducono la credibilità di una stampa già colpita dalle campagne demolitrici di Donald Trump, finiscono, in realtà, per usarli di più spinti dalla concorrenza e dalla velocità del ciclo delle news (quella dell'ammiraglia Moskva l'ha data anche la Nbc che cita uno zampino dell'intelligence Usa pure nell'abbattimento di un aereo da trasporto pieno di soldati russi).
     
    La guerra in Ucraina, poi, con l'impegno indiretto dell'America e l'imprevedibilità delle reazioni di Putin, pone sfide nuove anche ai media.
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