Paola Italiano per "la Stampa"
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Nella serie tv giapponese Alice in Borderland, uscita su Netflix alla fine del 2020, un gruppo di ragazzi è obbligato a superare giochi teleguidati da burattinai sconosciuti in cui perdere significa perdere la vita: o vinci o muori. Vi ricorda qualcosa? La somiglianza con Squid Game è incredibile. Ma la differenza nell'accoglienza a nemmeno un anno di distanza è abissale: i numeri pur buoni di Alice in Borderland non sono paragonabili al fenomeno planetario di Squid. E non è un caso.
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Tra i motivi c'è la complessità della serie coreana, la forte critica sociale, l'estetica e l'altissima qualità della produzione. Ma c'è una spiegazione più profonda che parte da più lontano, e precisamente dai primi anni Duemila, quando cominciò quella che viene definita «Hallyu», l'onda coreana: la penetrazione in Occidente dell'industria dell'intrattenimento del piccolo Paese asiatico è partita con il cinema, è esplosa tra gli adolescenti con il K-Pop e infine con i K-Drama, Squid Game in testa, è diventata uno tsunami.
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«L'esercito dei Bts» La band pop coreana dei Bts ha appena sbancato gli Mtv Ema, vincendo in ben 4 categorie. Molti adulti non sanno di cosa si stia parlando, ma ecco un numero per capire la portata del loro successo tra i giovanissimi: oltre 100 miliardi di visualizzazioni su Youtube. Sul sito Btsarmycensus.it sono riportati i dati di un sondaggio effettuato circa un anno fa tra 400 mila fans dei Bts in più di 400 Paesi, tra cui 4 mila italiani.
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Al 50 per cento sono ragazzi con meno di 18 anni, oltre l'86% sono donne. Pochi giorni fa su Twitter uno degli hashtag misteriosamente più ricorrenti era «Have a safe flight», «buon volo». Un mistero solo per chi non conosce i Bts e il loro «esercito»: l'hashtag è in tendenza ogni volta che i 7 ragazzi prendono un aereo. «Le band del K-Pop sono fenomeni creati a tavolino, con strategie mirate nei minimi dettagli. Ci sono studi approfonditi sulla musica, sul ballo e soprattutto sull'estetica»: Giuseppina De Nicola è docente di Lingua e Cultura coreana alla Sapienza di Roma, nonché autrice di svariati saggi sulla società coreana.
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Ai cosiddetti K-Drama si è appassionata negli anni 90, quando andò a vivere in Corea del Sud. Rientrata in Italia dopo dieci anni, nel 2005, aveva non poche difficoltà a proporre iniziative per divulgare quel mondo che tanto l'aveva affascinata. In pochi anni le cose sono radicalmente cambiate: seminari sul cinema o sulle serie, corsi per imparare i movimenti dei balletti del K-Pop, celebrazioni di feste tipiche coreane, oggi gli eventi non si contano.
A Roma si è appena svolta la Korea Week Cinema e i ragazzi del K-lab del Centro sperimentale di cinematografia, diretti da Maurizio Nichetti, hanno realizzato una web serie sulla Corea vista dall'Italia.
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
Investimenti, marketing e strategie non bastano da sole a spiegare perché milioni di persone fuori dalla Corea e fuori dall'Asia si siano appassionate alle vicende di un gruppo di disperati indebitati dei quartieri poveri di Seoul che rischiano volontariamente la vita giocando a un-due-tre stella.
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«Ho chiesto ad amici e studenti quale scena li avesse colpiti di più, e quasi tutti hanno risposto quella delle ragazze in cui una si sacrifica per l'altra. Mi ha colpito, perché quella scena è un topos tipico delle serie coreane, la quintessenza di questo genere e della loro cultura». È la storia delle concorrenti numero 67 e numero 212: una è scappata dalla Corea del Nord e sta tentando di far espatriare anche il resto della famiglia; l'altra è appena uscita di galera dove era rinchiusa per aver assassinato il padre violento che aveva ucciso la madre.
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Quest' ultima si sacrifica per la prima: perché lei non ha più nessuno ad aspettarla, mentre l'altra ha chi ha bisogno di lei fuori dal delirante parco giochi di Squid. «I coreani - dice De Nicola - hanno un profondo senso del tragico, che si accompagna a una forte emotività. Questi elementi nei K-Drama sono imprescindibili, portanti.
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Il senso del tragico nasce dalla loro storia di terra contesa, invasa e colonizzata, perennemente oggetto di tentativi di annullamento culturale che hanno per contro generato e rafforzato una forte resistenza identitaria. E teniamo conto della tragedia in corso, la divisione con la Corea del Nord: una ferita aperta e lancinante, un dramma che divide intere famiglie». L'emotività mostrata senza reticenze né pudori, secondo De Nicola concorre al successo: «È un elemento che forse un po' ci è venuto a mancare nelle narrazioni europee».
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Così come la coesione sociale: è il senso spiccato della comunità che porta alla feroce critica al capitalismo che amplia il divario tra ricchi e poveri (che si era già vista nel film premio Oscar Parasite). «Rinascimento narrativo» «Siamo nel bel mezzo di un rinascimento narrativo, con la Corea in testa, che sta rapidamente diventando uno dei più grandi e influenti centri culturali e di intrattenimento al mondo»: Dean Garfield, vice presidente alla public policy di Netflix, fa capire come il successo di Squid Game, visto da oltre 150 milioni di persone, non sia che la punta di un iceberg.
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La Corea riesce a esportare i suoi titoli anche grazie a un mercato interno fortissimo che spinge la produzione. Mentre Squid è in testa alla classifica Netflix delle serie più viste in lingua non inglese da ben 9 settimane, al secondo posto troviamo The King' s Affection: un'altra serie coreana. Ma un primo successo internazionale era stata l'esportazione del format di The Good Doctor, che ha avuto grande seguito anche in Italia; ma, appunto, quello era un adattamento americano di un prodotto di successo coreano.
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Ora invece sono proprio le serie originali a riscuotere successo. Questo grazie anche a un'altra delle indovinate strategie con cui la Corea del Sud esporta il suo soft power, cioè le piattaforme streaming che rilasciano numerosissimi titoli della sterminata produzione di K-Drama, come «Viki» e «Viu»: gratuitamente, con sottotitoli in più lingue, italiano compreso. Il mercato interno coreano vede egemone Netflix: secondo i dati riportati da Variety, gli abbonamenti sono passati nell'ultimo anno da 3,16 milioni a 5,14 milioni.
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Tra il 2015 e il 2020 la piattaforma ha speso 700 milioni di dollari e Garfield ha ribadito l'impegno dell'azienda a spenderne ben altri 500 entro la fine del 2021. Squid, come riportato da un leak di qualche settimana fa, ne è costati 22 a fronte di incassi previsti dall'azienda di 900 milioni di dollari.
ESTETICA GENDER FLUID
Ma altri attori sono entrati ora in gioco: Disney+ e Apple tv Plus, quest' ultima sbarcata in Corea pochi giorni fa con i suoi prodotti di punta, Ted Lasso e The Morning Show, ma anche con il suo primo K-Drama originale, Dr. Brain, una serie thriller di fantascienza basata su un «webtoon» coreano.
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Un altro esempio della vivacità creativa coreana: i webtoon sono fumetti pensati appositamente per essere letti su uno schermo in un'unica pagina a scorrimento verticale. Non adattamenti, ma opere nate per la fruizione da un device elettronico, che integrano disegni, animazioni e suoni.
Senza contare che il K-Pop, con la sua estetica gender fluid curatissima nei dettagli trascina con sé un altro successo globale: quello della cosmesi made in Sud Corea, dove la pelle liscia e levigata è quasi ossessione. Fateci caso: anche in Squid Game quando una delle concorrenti vuole fare un complimento a un'altra le dice «Che bella pelle che hai».