Riccardo Staglianò per “Il Venerdì di Repubblica”
RUMORE
I primi manuali di esorcismo del XV secolo stilavano lunghe liste su come riconoscere il maligno. Dei ventidue segni suggeriti dal barnabita Zaccaria Visconti nove erano acustici.
Gli indemoniati, ad esempio, «piangono forte senza sapere perché» o «rispondono ferocemente, con voce esasperata». D' altronde Dante si accorge della città dolente, ben prima di vederla, per «le grida e gli alti lai». L' inferno sono gli altri. Soprattutto quando strepitano.
Ma mentre abbiamo imparato a preoccuparci dell' inquinamento ambientale siamo ancora piuttosto inconsapevoli di quello acustico. Che pure, stando a una stima dell' Organizzazione mondiale della sanità, ogni anno toglie ai cittadini europei circa un milione di ore di vita in salute. Sino a ipotizzare che circa 3.000 morti per infarto sarebbero evitabili se il Vecchio continente decidesse una buona volta di abbassare il volume. Invece al lavoro impazza la moda dell' open space. Vicini di casa vengono alle mani per uno stereo fuori controllo. Bar o ristoranti senza colonna sonora sono in via di estinzione. Per non dire del variegato baccano stradale. Il silenzio è diventato il lusso supremo. La domanda è: non è il caso di renderlo più democratico?
CASA INSONORIZZATA
Sostiene Murray Schafer, pluripremiato compositore canadese e pioniere dell' ecologia acustica, che le città sono oggi rumorose il doppio di vent' anni fa. La cifra tonda è sempre un azzardo, su cui non scommetterei il Tfr, però racconta un declino inconfutabile. La scomparsa della quiete.
Al punto che, quando nel 2010 la Finlandia convocò un centinaio di esperti di branding per capire come vendersi meglio all' estero, il concentrato di cervelli partorì lo slogan Silence, Please, sullo sfondo di boschi incontaminati (pare aver funzionato). Quanto al peggioramento rispetto al passato, più remoto è, più diventa difficile dire. Basti citare il clangore dei cavalli sull' acciottolato rispetto agli pneumatici sull' asfalto, come fa l' antropologo Hillel Schwartz, autore per la Zone Books del monumentale Making Noise, una storia culturale del rumore.
Dall' alto delle sue novecento pagine sapienziali ogni richiesta di semplificazione giornalistica lo ferisce come una coltellata: «Già nella mitologia babilonese il dio Apsû si lamenta con la moglie Tiamat per il sabba dei figli scatenati, che minaccia di sterminare pur di tornare a dormire. Gli egiziani e i greci misero in relazione il vivere vicino a cascate impetuose con la perdita dell' udito. Per arrivare ad Arline Bronzaft che, negli anni 70 dimostrò come i bambini in scuole in zone ad alto traffico imparassero a leggere con più difficoltà. Per non dire della scoperta, dieci anni dopo, che le incubatrici più rumorose riducevano la probabilità di sopravvivenza dei prematuri».
RUMORE 4
Che il rumore faccia male lo sappiamo da sempre, dunque, ma l' abbiamo considerato un inevitabile danno collaterale del progresso. Tuttavia se c' è un luogo dove la religione del progresso convive con il laicismo assoluto circa le sue possibili contromisure, questo è New York.
Milioni di auto per strada infiammano i canyon di Manhattan? Basta alzare l' aria condizionata a temperature polari. Gli impianti industriali di areazione, che sbuffano come un Hercules C-130, tolgono il sonno ai condomini? È sufficiente chiamare Soundsense, o una delle decine di altre ditte specializzate nell' insonorizzazione, per metterci una cospicua toppa.
L' ha fondata Bonnie Schnitta, dottorata in ingegneria acustica, che promette l'«effetto paradiso» e negli ultimi dieci anni ha visto lievitare gli affari del 40 per cento.
Nell' ufficio di midtown, dove non vola mosca (una media di 55 dB, dieci in meno che alla Public Library funestata da un' aria condizionata ansimante e turisti in visita), incontro i suoi collaboratori Trish Kern e Steven Centalonza. Mi fanno un corso accelerato di acustica applicata.
CASA INSONORIZZATA
Semplificando, i rumori che si propagano via aria vanno fermati con qualche barriera (laminati vinilici pesanti), mentre quelli che vibrano via terra possono essere assorbiti da intercapedini ripiene di materiali spugnosi (dalla gomma di pneumatici riciclati a brandelli di vecchi jeans).
Le combinazioni delle due varietà sono le più infide. «Prima devi analizzarli, capire da dove passano, studiarne la frequenza e poi intervenire» spiega Trish, «perché quel che funziona contro il flauto del figlio del vicino non funzionerebbe con la tuba». Non è un lavoro che si improvvisa.
L' intervento più complesso, a memoria di Steven, fu in una villa negli Hamptons. Ci vollero settimane di registrazioni ambientali in tutte le stanze per capire che lo sferragliare che rovinava i sonni del proprietario arrivava da un treno notturno amplificato dalla copertura metallica del caminetto. «La parcella in quel caso fu ovviamente piuttosto salata» ammettono, «ma a volte bastano laminati vinilici da 250 dollari al metro quadrato». L' ideale sarebbe pensarci in fase di costruzione.
RUMORE 1
È quel che fa Pietro Cicognani, un architetto italiano con cui spesso collaborano e che si è fatto la reputazione di un maestro yoda del silenzio: «Il mio paziente più difficile? Un attico da 350 metri sulla Quinta strada, del nipote di Matisse, che vibrava come i baffi di un gatto. Impacchettammo ogni tubo, costruimmo controsoffitti e contropavimenti sospendendoli su molle e imbottendoli di isolanti. Quasi niente fu lasciato com' era». Un certo numero di mesi e duecentomila dollari dopo (su un valore decine di volte superiore) la fonderia è diventata un monastero. «Tra fibra ottica, aria condizionata, tubi di ogni genere qui gli appartamenti, dove il cartongesso impera, sono diventati gruviera da cui passa ogni suono.
Di recente siamo intervenuti, per quasi 500 mila dollari, su un duplex al ventiduesimo piano di Park Avenue. Si sentivano solo le sirene, ma i padroni non volevano sentire neanche quelle». Dice che bisogna entrare nell' ottica per cui «in una casa il silenzio è più prezioso di una splendida boiserie quanto a qualità della vita». Peccato che la gente normale non possa permettersi né l' uno né l' altra.
KATE MIDDLETON BABY GEORGE
E nel frattempo soffre. In una ponderosa rassegna degli effetti biologici del rumore il mensile americano Nautilus cita un medico pavese tra gli eroi di questa partita importante e negletta. Perché mentre studiava gli effetti della musica sul cervello Luciano Bernardi, internista e professore universitario in pensione, una decina di anni fa scoprì che la cosa più sorprendente erano i vuoti, non i pieni. Ovvero che assai più rilassante della musica giusta erano le pause casuali tra un brano e l' altro.
Nella campagna mantovana dov' è in vacanza la massima distrazione acustica sono i grilli: «Scoprimmo che nei minuti di vuoto la mente si liberava del ciarpame, un po' come nello yoga o nella meditazione, riducendo la ventilazione, la pressione, il battito cardiaco e abbassando i livelli di cortisolo tipici dell' ansia». Il silenzio dunque non solo come assenza di uno stimolo, ma come presenza attiva, ricarica preziosa per la mente.
Ovvero ciò che la biologa rigenerativa della Duke University Imke Kirste ha confermato, per altra via, sui topi: «Pensavo che solo i suoni potessero stimolare la crescita di nuove cellule cerebrali e invece ho scoperto che due ore di silenzio al giorno favorivano nuova produzione cellulare nell' ippocampo.
RUMORE 3
Non solo: l' assenza di impulsi aveva un effetto più pronunciato di qualsiasi altro impulso precedente». Mina, sempre profetica, l' aveva già intuito: «Ci sono cose in un silenzio/che non mi aspettavo mai». Alla luce di tutte queste tracce risulta incomprensibile la chiusura del gruppo di lavoro dell' Oms che, ancora cinque anni fa, aveva dato l' allarme sugli infarti evitabili da stress acustico.
D' altronde in tema di prevenzione, dall' edilizia sismica all' ergonomia aziendale, la scienza perde sempre davanti all' economia. La storia degli open space (termine inglese che né i britannici né gli americani riconoscono, uno di quei serpenti di mare linguistici tipo, a parti invertite, «salsa bolognese» per intendere ragù) ne è ottima riprova.
«L' idea del Bürolandshaft, l' ufficio panoramico, nasce in Germania negli anni 50» mi spiega Nikil Saval, condirettore del quadrimestrale n+1 oltre che autore di Cubed: A Secret History of the Workplace, «piacque alle aziende dal momento che consentiva loro risparmi, ma i lavoratori di allora li detestarono subito perché erano rumorosi e rendevano impossibile la concentrazione. Sicché in Germania li abbandonarono, mentre si diffusero in America e Regno Unito. Il fatto che oggi stiano sfondando nel resto d' Europa è l' ulteriore prova dell' indebolimento contrattuale dei lavoratori».
LE CONSEGUENZE DEL RUMORE
La letteratura a riprova del fatto che si tratti di un cattivo affare è copiosa. Nel 2011 Matthew Davis, dell' Università di Leeds, ha confrontato oltre cento studi sull' ambiente di lavoro per ottenere la conferma quantitativa che gli impiegati orfani di privacy lamentavano in coro una produttività e un benessere decisamente minori rispetto a prima («Molte aziende stanno piuttosto testando una disposizione basata sulle attività, dove ci si può alternare tra scrivanie, poltrone e spazi conviviali»). E suono contro rumore?
«Mettersi le cuffie e contrastare il chiacchiericcio con la musica può non funzionare» dice lo psicologo Nick Perham, specialista degli effetti cognitivi del suono a Cardiff, «perché se il brano ha un testo il cervello lo segue in automatico. La musica classica, che non ha componenti semantiche, va ovviamente meglio. Però il miglioramento della coordinazione motoria che va sotto il nome di effetto Mozart accade dopo aver ascoltato la musica, non durante, e ha a che fare con l' eccitazione più che con il maestro salisburghese. Ascoltare i Blur o un audio-romanzo di Stephen King, se li preferite, sortirebbe lo stesso risultato».
spegni il rumore accendi il divertimento
Anche Perham, in ogni caso, conferma l' intuibile: al telefono o dal vivo le armi di distrazioni di massa in un ufficio aperto restano le parole dei colleghi, che il nostro cervello inesorabilmente è portato a tallonare («Riducendo la capacità di memorizzare e anche di far di conto»).
Servirebbero dei muri, come una volta. Oppure arrendiamoci alla desolante resistenza a buon mercato di dipendenti in cuffia da lattoniere (che schermano fino a 33 dB) come se, al posto di un computer, dovessero imbracciare da un momento all' altro un martello pneumatico. Mentre per le strade avanza un vasto quinto stato che, per sentire quel che ha dentro l' iPhone, investe centinaia di euro in auricolari noise-cancelling che promettono di lasciare fuori la cacofonia del mondo esterno.
Dunque, che fare? Non tutti si limitano a mugugnare sottovoce. In molti Paesi esistono attivisti antirumore. Alla loro rispettabilissima causa non giova che spesso usino toni enfatici, quando non cospirativi. Sentite Craig Mixon, che anima la pagina Barkingdogs (ce l' ha in particolare con i cani che abbaiano) e mi invia una documentazione sterminata: «Non solo l' esposizione cronica al rumore può innescare infarti o ictus, ma può renderti disfunzionale al punto, se ti svegli dieci volte a notte, di perdere il lavoro, la moglie, tutto. Peccato che, come una volta accadeva con il tabacco, la lobby dei cani, che con la National Rifle Association ha in mano il Paese, blocchi ogni seria regolamentazione». Avete capito il genere.
HILLEL SCHWARTZ
La modalità Armageddon non invalida però la sostanza. Da noi, perlopiù, ci sono state alleanze per provare a stornare le rotte degli aerei dal tetto di casa propria. E le varie scuole del silenzio dirottano il discorso verso una zona new age prerogativa di pochi e non diritto alla salute pubblica di tutti. Per non dire dell' ultima fatica del più venduto maestro zen di tutti i tempi, quel Thich Nhat Hanh che dopo averci insegnato a gestire la rabbia, la paura e altre decine di cose in una produzione libraria che occupa un paio di scaffali (ma dove trova il tempo di meditare, una macchina da guerra editoriale del genere?) ha dato alle stampe Il dono del silenzio (Garzanti).
Più prosaicamente, come si confà a questa latitudine, l' ex sindaco di New York Michael Bloomberg dette disposizione ai poliziotti di andare in giro con una pistola acustica che registra il rumore di cantieri, locali e scappamenti vari. Chi sgarra paga. Certo, non basta, però è qualcosa. Fu l' otorino americano Aram Glorig a coniare il termine sociocusis, intendendo l' impatto psicoacustico del rumore ambientale.
rumore
Così come americani erano i soldati, o i loro contractor, che torturavano i prigionieri di Abu Ghraib con sedute intensive di Enter Sandman dei Metallica (pare che andasse forte tra i dj sadici) o scrivevano, in un rapporto sulle armi non letali trapelato anni fa, di tecniche acustiche come il Blast Wave o l' Infrasound a bassa frequenza, capace di «penetrare facilmente molti edifici» e provocare «nausea, perdite intestinali, potenziali danni agli organi interni» (oltre 130 dB, tutti i suoni diventano fatali per la cilia dell'orecchio interno). Altro che la collega stridula che spiega, con un' acribia mai mostrata sul lavoro stipendiato, la ricetta delle melanzane alla parmigiana all' amica.
Il peggio è un pozzo senza fondo, ma non deve diventare un alibi per l' inazione.
Vogliamo anche noi le quiet cars sui treni, ma vere, come a Londra. O gli specialisti alla Soundsense, magari più abbordabili. O i vigili del chiasso. È una battaglia di civiltà perché, tra i logorii della vita moderna, è più facile chiudere gli occhi che tapparsi gli orecchi.
Poi, certo, ha senz' altro ragione il sapiente Schwartz quando ricorda che «non solo il mondo è letteralmente forgiato dal rumore, ma anche il nostro cervello ne ha bisogno. Rumore rosa, simile a quello bianco (senza periodicità e ad ampiezza costante) ma sporcato e ammorbidito dal passaggio nel cervello, meno freddo e più umano. Sostanziamo il nostro esistere attraverso il rumore che produciamo. Sono ergo sum». L' importante, come al solito, è non esagerare.
LE CONSEGUENZE DEL RUMORE