Giuseppe Videtti per “il Venerdì - la Repubblica”
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John Lennon e Yoko Ono si conoscono nel 1966 al vernissage di una mostra di opere di lei a Londra. Yoko è un' artista concettuale, proveniente da una famiglia dell' altissima borghesia giapponese.
Si sposano nel 1969, lui aggiunge il cognome di lei al suo. Come luna di miele inventano il bed-in, ad Amsterdam e poi a Montreal, restando a letto per settimane come forma di protesta contro la guerra in Vietnam. In quell' occasione John conia la frase «All we are saying is give peace a chance», «stiamo solo dicendo: date una possibilità alla pace» poi trasformata in una celebre canzone. Sean, figlio di John e Yoko, oggi musicista, nasce nel 1975.
LENNON YOKO ONO
John Lennon viene ucciso la sera dell' 8 dicembre 1980 da un fan squilibrato, Mark David Chapman, con quattro colpi di pistola. Con il tempo, le accuse a Yoko di essere stata la principale causa dello scioglimento dei Beatles si sono molto ridimensionate. (g.ser.) L john lennon - yoko ono all we are saying a cura di david sheff traduzione Nico Perre editore Einaudi pagine 312 prezzo 19 euro ennon: «Ho fatto il pane». Playboy: «Il pane?».
Lennon: «E sono stato dietro al bimbo. Perché, come tutte le casalinghe sanno, il pane e i bambini sono lavori a tempo pieno. Non c' è tempo per nessun altro progetto. Dopo aver fatto il pane, mi sembrava di essere riuscito a conquistare qualcosa. Ma quando ho visto che il pane era cotto, ho pensato: "O Gesù, ma non mi danno un disco d' oro, non mi fanno baronetto, niente?».
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Ripensandoci, David Sheff non riesce ancora a credere di aver intervistato John Lennon e Yoko Ono per Playboy quando aveva 24 anni.
Faceva il giornalista da tre, ma non gli avevano mai assegnato un compito così delicato. All' epoca anche a un reporter importante le star concedevano non più di due ore (ora al massimo venti minuti): «John e Yoko invece mi accolsero nelle loro vite e trascorsi con loro tre settimane, ogni giorno dall' ora di colazione a tarda notte» racconta al telefono da San Francisco Sheff, che da quell' incontro ha tratto un libro, All We are Saying.
L' ultima grande intervista, uscito negli Usa nel 2000 e ora tradotto in italiano da Einaudi (sarà in libreria il 1° dicembre). «Sono passati quarant' anni; l' intervista, che avevo concluso a metà settembre, era programmata per uscire a metà dicembre», scrive Sheff nell' introduzione all' edizione italiana, aggiungendo che la morte di Lennon, assassinato a Central Park l' 8 dicembre del 1980, è ancora un dolore che neanche la sua intensa vita di padre di famiglia, giornalista e scrittore è riuscita ad alleviare.
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Sheff ebbe il privilegio di assistere alle registrazioni degli album Double Fantasy e Milk and Honey; era dai Lennon quando il piccolo Sean, che allora aveva cinque anni, veniva riportato a casa dalla governante e saltava sulle ginocchia del padre. «Aperti, cordiali, le loro risposte erano oneste, intense, commoventi, radicali, a volte divertenti.
PAUL MCCARTNEY BEATLES
Ero sbalordito dal fatto che si potesse parlare di tutto, vita privata e professionale» racconta. «Ero andato con l' idea di intervistare due leggende, mi ritrovai in famiglia. Un' esperienza incredibile, per un ragazzo della mia età, confrontarsi con tanta saggezza. Ovviamente non mi rendevo conto che quell' intervista sarebbe diventata storia, che sarebbe stata la più lunga e dettagliata dell' intera carriera di John, Beatles compresi. Per tanti anni, da Strawberry Fields Forever, quando ero ancora un ragazzo infelice, taciturno, solitario, la sua musica mi aveva parlato».
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All' epoca Sheff viveva a Los Angeles.
Quell' 8 dicembre era lunedì, Yoko lo chiamò per comunicargli che l' editore le aveva inviato una copia dell' intervista da revisionare, le era piaciuta moltissimo. «Inaspettatamente John afferrò la cornetta e si congratulò, mi disse anche che (Just Like) Starting Over sarebbe stato il primo singolo del nuovo album, e sicuramente sarebbe volato al primo posto. Erano entrambi assai ottimisti». La stessa sera Sheff era davanti alla tv quando il famoso giornalista sportivo Howard Cossel interruppe la diretta della partita per comunicare all' America che John era morto.
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«Ero scioccato, non riuscivo a crederci. D' istinto cercai di chiamare Yoko, ovviamente senza successo. Così presi un aereo e andai a New York. Trovai migliaia di persone che cantavano le canzoni di John davanti al Dakota. John avrebbe 80 anni oggi, non riesco ancora a credere che non ci sia più».
Affascinante e drammatico come il reporter "adottato" dai Lennon sia rimasto segnato da quell' incontro, e come le loro storie si siano intrecciate; quando nasce il primo figlio, Sheff non lo chiama quasi mai Nic, ma Beautiful boy, come la canzone che John aveva scritto per Sean (pubblicata postuma su Double Fantasy). Più in là con gli anni, il giornalista, che ha lavorato anche per il New York Times e Rolling Stone, avrebbe avuto una storia ben più devastante da raccontare, la dipendenza del suo primogenito dalla metanfetamina. Il libro, prevedibilmente intitolato Beautiful Boy, è diventato nel 2018 un film affettuoso e terribile interpretato da Thimotée Chalamet e Steve Carell (ora su Amazon Prime).
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«Quella canzone significa molto per me», conclude Sheff, che ha voluto il brano di Lennon al centro della magnifica colonna sonora insieme a Sigur Rós, Henryk Górecki, David Bowie, Tim Buckley, Neil Young e molti altri. «Ero in studio quando John la registrò. Mentre la cantava pensavo alla bellissima, tenera relazione che aveva con il piccolo Sean. Quando durante l' adolescenza Nic sprofondò in situazioni orribili e pericolose, ascoltare quella canzone mi spezzava il cuore. Beautiful boy era un modo per dirgli che anche quando la droga l' aveva reso irriconoscibile, non aveva mai smesso di essere il mio ragazzo bellissimo - e lo sarebbe stato per sempre.
Dopo l' uscita del film, centinaia di persone mi hanno fatto sapere di aver cantato quella canzone ai loro bambini; per molti Beautiful Boy era stata la colonna sonora di quei momenti terribili in cui un genitore non riesce più a proteggere suo figlio».
yoko ono e john lennon si sposano a gibilterra
È finalmente un libro la celebre intervista rilasciata a Playboy poco prima della morte di Lennon, 40 anni fa. «Mi aspettavo due leggende, mi ritrovai in famiglia» dice oggi l' autore David Sheff «Parlai con loro tre settimane.
Le loro risposte erano intense, cordiali, spesso divertenti»
Giovanni Gavazzeni per Il Giornale
Pochi giorni prima di essere assassinato, John Lennon disse al giornalista David Sheff, in una lunga intervista a due voci con la moglie Yoko Ono pubblicata da Playboy (ora tradotta in italiano presso Einaudi: All We Are Saying, pagg. 312, euro 19): «Il Mahatma Gandhi e Martin Luther King sono esempi perfetti di persone fantastiche, non violente, morte in modo violento. Non riuscirò mai a capirlo. Siamo pacifisti, ma non so che cosa significa essere così pacifisti e finire per essere uccisi. Non riesco a comprenderlo».
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Sono passati quarant' anni da quando uno psicopatico assassinò il pacifista Lennon davanti alla sua abitazione, il Dakota Building, un palazzo neo-rinascimentale-anseatico fra la Prima West e la Settantaduesima Strada di New York, dove vivevano Leonard Bernstein, Lauren Bacall, Judy Garland, Rudolf Nureyev e decine di stelle del cinema e del teatro. Da allora tutti continuano a farsi la stessa domanda senza risposta. Non basta la follia di un invasato lettore del Giovane Holden, non basta il risentimento invido per un critico del sistema che accumulava milioni, non basta l' odio di un oscuro ominide per l' artista blasfemo che vantava di essere più famoso di Gesù. Il mistero permane, forte come la violenza omicida.
Legioni di ammiratori dei Beatles e di Lennon, nonostante l' assurda gratuità della sua morte, continuarono a nutrire astio verso colei che si riteneva corresponsabile della divisione dei Quattro Favolosi, la donna vampiro che affievoliva la forza creatrice, la non-moglie-non-madre ultra-femminista, la megera nipponica con velleità artistoidi, Yoko Ono. Pochi accettavano che l' amore di John per la Ono avesse segnato la fine naturale della gioventù, la nuova strada verso la maturità, suggellata dalla nascita del figlio Sean. «Appena l' ho incontrata, con i ragazzi è finita, solo che i ragazzi erano famosi, non erano semplicemente gli amici del bar. Erano ragazzi che conoscevano tutti. Ma era la stessa cosa... Però la gente si è arrabbiata da morire, si è infuriata!
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Fortuna che io e Yoko eravamo così presi l' uno per l' altra che ci siamo messi a fare dischi, a fare i bed-in, e in un modo o nell' altro, a forza di esplosioni, abbiamo trovato la nostra strada. Ma ci hanno tirato addosso palate di merda, un sacco di cose dolorose».
Lennon aveva sempre il sostegno dei fan più intellettuali, quelli che preferivano al pop geniale e commestibile di Help, Yellow Submarine, Hey, Jude!, Yesterday, Michelle, l' indian-rock-psichedelico di Strawberry Fields; i trip e i riferimenti lisergici di Lucy in the Sky with Diamonds; le frasi ermetico-surreali alla Lewis Carroll per canzonare Bob Dylan di I Am the Walrus; il super ossessivo ritmico Come Together; la confessione d' amore, quasi-incunabolo metal, per la heavy Yoko, I Want You; la burla agli ostinati cercatori di significati reconditi di Glass Onion, la bellissima ballata rock A Day in the Life. Le canzoni scritte nel dopo-Beatles traboccavano invenzione, coniugando semplicità e contenuti politici (la ballata slogan Power To The People, Working Class Hero, Woman Is the Nigger of the World, Gimme Some Truth, e soprattutto l' inno pacifista senza tempo, Imagine o Give Peace a Chance).
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Fra la guerra del Vietnam che sterminava una generazione e gli omicidi politici, dal presidente Kennedy a Malcolm X, Lennon decise di mandare le sue cartoline per la pace attraverso una forma di comunicazione potentissima, la canzone pop («la maggior parte della gente crede che si scrivano perché, essendo commerciali, ci si possono fare molti soldi. Non è così. La musica pop è la forma della gente.
Quando gli intellettuali cercano di comunicare con la gente di solito falliscono. Lascia perdere tutto il ciarpame intellettuale, tutti quei rituali, e fermati ai sentimenti reali - i sentimenti umani semplici, quelli buoni - e cerca di esprimerli in un linguaggio semplice che arrivi alla gente. Niente stronzate. Se voglio comunicare con la gente devo usare il suo linguaggio. Le canzoni pop sono quel linguaggio»).
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Lennon e Yoko Ono, dopo santoni e terapie dell' urlo liberatorio, separazioni e fiumi di alcol, si scambiarono i compiti genitoriali: lei businesswoman decisa e vincente, lui a casa con Sean, a farlo nuotare, o a fare il pane e a preparare i pasti per i collaboratori, ma sempre pensando a evolvere il suo pop. Non voleva risentire le canzoni fatte con i Beatles. Le riteneva tutte migliorabili e legate al passato.
«Ho scritto Imagine, Love e le canzoni della Plastic Ono Band: brani che tengono testa a qualunque canzone io abbia scritto per i Beatles. Ora, forse ci vorranno venti o trent' anni per capirlo, ma il fatto è che questi pezzi sono all' altezza di qualsiasi altra cazzo di canzone mai scritta».
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Sembrò il gran rifiuto a ricostituire un mito. Sembrò ostinazione non suonare con gli ex-Beatles nemmeno per beneficenza (Lennon e consorte preferivano dare a chi volevano la decima dei guadagni). Era rifiuto di diventare reliquia, di finire mummia galvanizzata a rockettare senza pudore, o malinconicamente a Las Vegas a cantare vecchi successi. Lennon aveva trovato a fatica il suo spazio e cominciava ad acquistare le forze per una nuova stagione creativa. Fino al fatale 8 dicembre 1980, ai colpi della calibro 38 di Mark David Chapman, il Caino moderno, che lo abbattono nell' atrio del Dakota, alla disperata corsa in ospedale e alla morte.
martin luther king i have a dream marcia a washington
Petruska, il popolare Pulcinella russo delle fiabe, dopo essere stato ucciso dal violento Moro riappare minaccioso, prima che cali il sipario, sopra il baraccone del burattinaio. Il suo volto sembra affermare in un ultimo guizzo che il suo tipo non morirà mai. Così, se guardiamo in cielo, può sembrare ci appaia la faccia inquieta, gli occhialini tondi e i baffi da tricheco di quel capellone un po' annoiato e un po' beffardo. John Lennon potrebbe sussurrare le parole che diceva a chi lo considerava una marionetta di Yoko: «Io sono incontrollabile. L' unico in grado di controllarmi, sono io».
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