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Da “La Verità”
Leandra D'Angelo, titolare di un negozio di vendita per conto terzi e di un banco nel mercato domenicale di Porta Portese a Roma, per colpa di intercettazioni telefoniche errate è finita in carcere per 23 giorni e ha dovuto aspettare 3 anni prima di avere giustizia. Il 25 giugno 2009 alla sua porta bussano i carabinieri con un'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip di Roma il giorno prima. L'accusa è detenzione di sostanze stupefacenti: 10 grammi di hashish. La donna è incensurata. Arrestato anche il convivente. I due figli minorenni devono trasferirsi dai nonni.
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Leandra D'Angelo è stata inguaiata da una telefonata intercorsa con un tale Osmanovic, intercettato, nella quale i due parlano di un'auto da vendere. Gli inquirenti all'ascolto si convincono che i due usino un linguaggio cifrato per nascondere la compravendita di droga. Così, la donna finisce coinvolta in un'operazione che porta all'arresto di 54 persone di etnia rom.
La donna resta nel carcere di Rebibbia dal 25 giugno al 17 luglio 2009, quando il tribunale della libertà di Roma accoglie il ricorso dell'avvocato Riccardo Radi e annulla l'ordinanza di custodia cautelare sia per la D'Angelo sia per il suo convivente.La vicenda giudiziaria si concluderà tre anni dopo l'arresto.
«Le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche erano state chiaramente travisate», ricorda l'avvocato Radi. «Mi bastò ascoltarle attentamente e farle trascrivere come si deve, per dimostrare la completa estraneità della mia assistita a ogni accusa. Ebbi la netta sensazione che il Gip avesse fatto in quell'occasione di tutta l'erba un fascio, senza distinguere le singole posizioni dei vari indagati.
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Il risultato fu che la mia cliente subì un arresto ingiusto, un'ingiusta detenzione di oltre tre settimane e tre anni di vicenda giudiziaria senza colpa».Nel 2012, divenuta irrevocabile la sentenza di archiviazione, l'avvocato presentò un'istanza di riparazione per ingiusta detenzione. L'obiettivo era di ottenere un indennizzo per i 23 giorni di carcere di Leandra D'Angelo da innocente. Nel 2013 la quarta sezione della Corte d'appello di Roma ha accolto la domanda, disponendo la liquidazione di 4.200 euro. Per la donna, ma soprattutto per i figli, non è stato facile superare il trauma: hanno avuto tutti bisogno di una lunga terapia psicologica.L.D.P.
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