giorgia meloni viktor orban
Estratto dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
Giovedì a Bruxelles l’unico Paese a dichiararsi davvero in disaccordo con le nuove regole di bilancio europee è stata l’Ungheria: anche questo vorrà pur dire qualcosa. Giancarlo Giorgetti invece ha descritto i suoi dubbi sull’eccessivo accumularsi degli «ancoraggi» sul deficit e delle «salvaguardie» sul debito.
Il ministro dell’Economia ha sottolineato anche l’importanza di lasciar spazio a investimenti e spese che sono ormai un obbligo per i governi europei, oltre che una scelta: dalla transizione verde, alla difesa, all’aiuto all’Ucraina. Ma, dietro le porte della sala dell’Ecofin, Giorgetti non ha fatto balenare la possibilità di un veto di Roma sull’intero pacchetto.
nadia calvino giancarlo giorgetti
Al termine del suo intervento la ministra spagnola Nadia Calviño, al centro del negoziato in quanto presidente di turno, lo ha ringraziato. Solo dopo, fuori dalla riunione, fonti italiane hanno fatto sapere che il governo è pronto anche a tornare alle vecchie regole: quell’osservazione è suonata una velata minaccia di bloccare l’accordo, se le nuove regole implicassero una serie di correzioni di bilancio troppo severe. Vedremo presto se dietro l’uscita dell’Italia c’è una reale disponibilità a far saltare il tavolo o si tratta di un approccio negoziale.
MACRON SCHOLZ
Vedremo anche se nel governo c’è chi la tentazione di bloccare l’avverte più forte — magari a Palazzo Chigi — e chi invece vede soprattutto i limiti di una tattica del genere: non farebbe che centrare ancora di più i riflettori sull’Italia, che già oggi appare l’anello debole dell’area euro sul piano finanziario. Proprio giovedì Eurasia Group, la società di consulenza di Ian Bremmer, ha fatto circolare un rapporto dal titolo: «Come reagirebbero Giorgia Meloni e l’Unione europea in caso di vendite importanti sul mercato» (implicito: dei titoli di Stato di Roma).
giorgia meloni al consiglio europeo
Di certo il nervosismo nel governo riflette una svolta nel negoziato a Bruxelles. […] Parigi ha accettato che ci sia nelle regole un’«ancora» sul deficit: […] significa che i governi dovranno puntare a un obiettivo di disavanzo tuttora da negoziare (la scelta è fra l’1%, l’1,5% e il 2% del prodotto lordo) con valutazione alla fine di un percorso di alcuni anni (forse sette). Quest’«ancora» si aggiunge a una «salvaguardia» che prevede un calo minimo del debito ogni anno (di meno dell’1% del Pil all’anno, ma forse di più dello 0,5%), su un periodo di vari anni).
Se Parigi ha accettato tutti questi vincoli […] è probabilmente per una ragione precisa. Essa coincide con la caratteristica saliente delle nuove regole di bilancio, benché di essa si parli poco dato che in realtà in moltissimi l’accettano: i percorsi di risanamento dei singoli Paesi sul medio e lungo periodo, ma da avviare senza troppo indugio, saranno basati su un’«analisi di sostenibilità del debito». E questa sarà ampia e controllata dagli altri governi.
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L’obiettivo è dare ai conti di ogni Paese un equilibrio tale che il debito non esploda tra dieci, 15 o 17 anni in caso di choc simili alla crisi finanziaria del 2008, alla pandemia del 2020 o alla crisi energetica del 2022. […] i cammini di Italia e Francia — che pure oggi hanno conti simili — si separano: in futuro gli sforzi di bilancio richiesti a Parigi potrebbero essere meno duri, perché il profilo demografico francese è molto più dinamico. E la dinamica di produttività italiana è più debole. Ma neanche mettersi sulla barricate da sola con l’Ungheria, per bloccate tutto, sembra per l’Italia un’opzione particolarmente attraente.
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