Guido Andruetto per la Repubblica
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Ci sono canzoni che sembrano arrivare dal nulla, come meteoriti. I feel love di Giorgio Moroder, con la voce di Donna Summer, è una di queste. Pubblicata quarant' anni fa, era piombata giù dal cielo come una stella, aprendo una nuova traiettoria nella musica pop e dance.
Eppure "Re Giorgio" (ci sono solo lui ed Armani che si possono fregiare di questo appellativo), 77 anni, quasi si stupisce che quarant' anni dopo venga ancora celebrato per quel brano. Seduto nella suite di un hotel a Milano, accanto ad un pianoforte a coda, ci accoglie con il saluto inconsueto (soprattutto per un settantenne) del pugno contro pugno.
Sembra un rapper di un tempo lontano, in bianco e nero, quando l' hip-hop nemmeno esisteva, tutto vestito di scuro, ha un fascino magnetico, e il sorriso di chi sa di aver avuto tutto dalla vita. Tre Oscar, quattro Grammy Awards e quattro Golden Globe. Sono sue le colonne sonore di film di culto come Fuga di mezzanotte, Scarface, American Gigolò, Flashdance, Top Gun, Una storia infinita, e la musica per i Giochi Olimpici di Los Angeles e Pechino. Moroder era solo un ragazzo della Val Gardena che voleva diventare geometra.
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«Mi ha salvato la musica», racconta addentando un biscotto al burro, alla faccia del colesterolo, «avevo diciannove anni e dovevo sostenere un esame di riparazione a settembre. Invece quel giorno non mi sono presentato e sono rimasto a casa di un amico a dormire. Sua madre era venuta a svegliarmi, ma io ho fatto finta di niente, perché pochi giorni prima avevo ricevuto l' offerta di entrare in un gruppo e partire per un piccolo tour. Allora mi sono detto: continuo a dormire, non vado a scuola e perdo l' anno, e ho una buona scusa. Così sono diventato musicista. Altrimenti sarei finito a lavorare nell' ufficio tecnico del comune di Ortisei anziché ad Hollywood».
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Non c' è traccia perciò di tecnigrafi e goniometri nella sua carriera, ma solo di sintetizzatori e giradischi. Pioniere della musica elettronica, Moroder ha contribuito con le sue canzoni ad abbattere parecchi tabù e a liberare energie sessuali fino ad allora represse.
«Ai tempi di Love to love you baby negli Stati Uniti ci fu un incremento pazzesco delle nascite», ricorda scherzando, «per via dei quegli orgasmi simulati da Donna Summer i dj delle radio la trasmettevano apposta a mezzanotte ammiccando agli ascoltatori. Credo che siano stati concepiti parecchi figli in quel periodo. Per non parlare della liberazione che portò I feel love tra gli omosessuali sul finire dei 70. Ancora di recente Rolling Stone ha stilato una classifica dei brani che hanno influenzato di più la comunità gay a livello mondiale. I feel love è in testa, prima di YMCA dei Village People o di I will survive di Gloria Gaynor.
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Donna aveva una sensualità incredibile, era spontanea in tutto e ricordo che per quegli anni non fu semplice per lei, cresciuta in una famiglia molto religiosa, esternare in modo così smaccato ed eclatante il suo lato sexy. Love to love you baby vendette più di tre milioni di copie». Da Ortisei a Berlino e poi a Monaco di Baviera, per approdare infine a Los Angeles, Moroder per tutti gli anni 70 e 80 non si è mai preso pause dal lavoro.
Oggi vorrebbe recuperare le energie perse allora, ma tutti continuano a corteggiarlo, l' hanno appena scelto come ambassador per Alfa Romeo e il 30 settembre alle Ogr di Torino si esibirà in prima mondiale con la Heritage Orchestra e l' Ensemble Symphony Orchestra. «Sono un uomo tranquillo. Los Angeles e Ortisei si assomigliano. Ci sto bene, mi rilasso. A New York tutti corrono, c' è troppo stress, e non ho voglia di lavorare troppo. A Ortisei l' aria è buona, mi piace anche quando piove, mi godo il panorama, apro il balcone e vedo le rondini che passano.
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A Los Angeles con mia moglie Francisca abitiamo in un grattacielo al decimo piano, dove ho anche lo studio, ma mi prendo i miei tempi. Gli anni 80 per me sono stati un massacro, le musiche per Top Gun" e per Flashdance. Lavoravo come un matto. Non avevo neanche il manager e mi chiedevano pezzi in continuazione.
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Non dicevo mai di no e allora sì che erano guai. Oggi che siamo iperconnessi pensiamo di vivere nell' era della velocità, ma non è così. Già negli anni 70 in quindici, venti giorni facevamo un album. Per il mio ultimo disco Déjà vu, ho impiegato due anni. Con la tecnologia abbiamo tante di quelle opzioni che solo per sceglierle se ne va via un sacco di tempo».
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