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Quest’oggi Alexsander Ceferin, Presidente della UEFA, ha rilasciato un’intervista al quotidiano ‘Repubblica’. Queste le sue dichiarazioni.
Sui Mondiali senza l’Italia: «Sportivamente, per un Paese tanto passionale verso il calcio, è una tragedia. Ma succede, l’Olanda ha mancato anche l’Europeo. È un’opportunità per cambiare le cose che non vanno».
Sulle cose da cambiare: «Le infrastrutture. Tra i grandi Paesi europei l’Italia è il più indietro. È una catena: senza infrastrutture non si creano giovani calciatori, senza talenti non si vince. Servono progetti chiari. L’Uefa dà un contributo alle federazioni che presentino piani con partner anche locali, per nuovi campi o centri sportivi. Oggi l’Italia non può ospitare un grande torneo: scarse infrastrutture e stadi obsoleti».
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Sugli stadi italiani di proprietà: «Si sono mossi solo Juventus, Udinese, Atalanta, Cagliari e Sassuolo. Una grande manifestazione aiuterebbe, ma per Euro 2024 corrono Germania e Turchia e del 2028 non si è ancora parlato».
Sulle dimissioni di Carlo Tavecchio: «È diventato Presidente della F.I.G.C. nel 2014 e ha preso Conte, che in Francia non aveva un top team e che poi è andato al Chelsea. Tavecchio ha preso un altro C.T., ma pensate che in due anni si potesse vincere il Mondiale, dopo due uscite al primo turno? Per il resto la F.IG.C. ha fatto un buon lavoro».
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Sul possibile licenziamento di Michele Uva, vice Presidente UEFA e D.G. della F.I.G.C.: «È un grande professionista, non sarebbe buona cosa per l’Italia. E per me è un ottimo vice».
Sulla disfatta dell’Italia: «Ogni sconfitta può minare la popolarità. La forza politica resta la stessa».
Sull’Europa motore del calcio mondiale: «Avvertiamo l’opportunità di migliorare e la responsabilità di trovare l’equilibrio competitivo. Il pericolo è di avere 10-12 club sempre più grandi e tutti gli altri rimpiccioliti».
Sul conciliare business, sport ed etica: «Con il business etico. Il nodo è la tassa di solidarietà. Chi spende oltre un tetto deve versare la quota della quale ha sforato, per finanziare settori giovanili, sviluppo e infrastrutture».
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Sul salary cap nel calcio: «Niente modello Usa, in Europa il tetto dovrebbe essere uguale per tutte le leghe. Ma con la tassa si supera la questione: se fisso il tetto di spesa, supponiamo, a 100 milioni e spendo 120, quei 20 di differenza li restituisco sotto forma di solidarietà. Le storture le vedo bene: un club italiano ha 55 giocatori in prestito, uno portoghese ne ha 25, di cui 24 sopra i 30 anni. I prestiti vanno limitati o vietati e il limite delle rose non può valere soltanto per le coppe. Non tutte le leghe, poi, hanno le seconde squadre».
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Sul caso Neymar: «Non posso dire molto. C’è un’inchiesta in corso. Una decisione dovrebbe essere presa prima della prossima stagione. Sul mercato invernale il Psg potrà agire liberamente».
Sul fair play finanziario: «L’Uefa tratta tutti allo stesso modo, grandi e piccoli. Io non faccio il populista, devo essere giusto. Non ci saranno favoritismi, fidatevi. Funziona bene. Da quando c’è, i club hanno l’81% in meno di perdite».
Sul mercato equo e sulla respinta delle critiche di Angela Merkel: «È tra i politici che stimo di più. Chiarisco. I politici invocano il libero mercato, ma senza Commissione europea il problema mercato non si risolve. Abbiamo aperto un ufficio a Bruxelles: vogliamo aiutare i club più poveri e non a parole».
Sul denaro che esce dal sistema calcio: «Invece troppi soldi vanno fuori. Sugli agenti la giurisdizione è della Fifa, ma dobbiamo agire insieme, limitando le commissioni da capogiro. Prima di Infantino c’era la deregulation, ognuno poteva fare il procuratore».
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Su Andrea Agnelli: «Non posso pronunciarmi, c’è un processo d’appello. Personalmente ho molta fiducia in lui: il suo lavoro sarà utile per il calcio, europeo e italiano».
Sulle proprietà ‘nebulose’ che rischiano di riciclare denaro: «Soprattutto nei piccoli club. Il problema è serio, serve un fronte comune: Uefa, Fifa, leghe e governi, come per il match fixing lavorano polizia e governi. Abbiamo creato la sezione Protection of the game e un’intelligence».
Sulla proprietà del Milan: «Ci stiamo lavorando, non posso dire nulla. Sono preoccupato, ma vediamo che cosa succede».
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Sul voluntary agreement del club rossonero: «A metà dicembre l’organismo competente si pronuncerà».
Sulla possibilità di settlement agreement: «Tutto è possibile, ma è prematuro parlarne».
Sulla Superlega: «Ho detto ai club che non lo permetterò mai. Venti squadre che giocano sempre tra loro renderebbero noioso il calcio. E chi alleverebbe i giovani? A Maribor, nella mia Slovenia, una città intera vive per la Champions, dai nonni ai nipotini».
Sulla Global Nations League: «Ci stiamo pensando, con le altre confederazioni: una final eight per ogni confederazione, nello stesso periodo. Dati i diversi fusi orari, ci sarebbero giornate con 24 ore ininterrotte di calcio».
Sull’Europeo 2020 in 13 Paesi diversi: «Per i suoi 60 anni: un torneo con legislazioni diverse, monete diverse e Paesi ospitanti senza la propria nazionale che gioca. Nel 2024 si tornerà al classico».
Sulla finale di Champions fuori dall’Europa: «Possibile, prima o poi. Però non c’è alcun piano concreto».
Sul V.A.R. ai Mondiali: «Troppo presto. So che non si tornerà indietro, ma su questo sono un po’ conservatore. Bisogna educare arbitri e pubblico. L’arbitro deve restare il giudice o è come se decidesse un robot».
Sulle riforme: «Tutto è in divenire, l’importante è il limite dei 3 mandati: 12 anni al massimo. Il mio obiettivo è di proteggere il gioco, sviluppare il calcio femminile, combattere con durezza razzismo, nazionalismo, sessismo e omofobia nel calcio. Ma si deve investire nell’educazione, le sanzioni non bastano”.
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Sull’eredità da lasciare: «Il calcio ha un potere enorme. Può fermare le guerre, può aiutare i politici a essere giusti, può arginare la corruzione. E soprattutto può fare di più per i bambini. In un campo profughi giordano ho visto orfani felici dietro un pallone, come i coetanei europei più fortunati».