Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport
luciano spalletti
C ’è ancora chi si sorprende se a fine partita Spalletti si impermalosisce e s’incazza dopo aver ascoltato un giudizio sgradito o una domanda che provocatoria non voleva essere. Eppure basta conoscerlo, o averlo visto più volte in tv, per sapere che talvolta non risponde all’intervistatore, ma ad altri e su ciò che gli è stato riferito e con difficoltà s’era tenuto dentro. Dice a genero perché suocero intenda.
luciano spalletti dopo italia croazia 3
E c’è chi ama sottolineare ripetutamente un aspetto del carattere di Luciano che non è mai riuscito a correggere e non vedo come possa farlo a 65 anni e perché dovrebbe: vede le ombre anche dove non ci sono, ha una spiccata propensione al controllo di uomini, situazioni, ambiente. Lui ti porta davanti alla sua natura in tutta la sua nudità. Spalletti è così da sempre, è ancora quello dei topini, dei cecchini su Trigoria, dei riportini e dei biscugini. È il veleno che confessa di iniettarsi.
Lunedì sera è passato dall’inferno al paradiso nel giro di pochi secondi: inevitabile che staccasse il piede dal freno e si lasciasse andare in discesa liberando istinto e insofferenza. C’è infine chi sostiene che l’ansia del tecnico stia contagiando gli azzurri. Possibile che condizioni qualcuno, il più fragile o il meno in forma, ma soprattutto che stimoli altri - un’autentica impresa il passaggio agli ottavi con una squadra con evidenti difetti di tecnica e personalità.
luciano spalletti dopo italia croazia 6
Da quasi un anno Spalletti è dentro un vestito nuovo e un altro mondo: per chi, come lui, è cresciuto col mito della Nazionale, il fatto di poterla guidare all’Europeo rappresenta il punto più alto e coinvolgente della carriera. Mai stato spallettiano. Gli ho sempre riconosciuto straordinarie capacità di allenatore, ma anche un carattere non proprio facile, pieno di contorsioni emotive.
Immagino che non sia stato semplice reinventarsi selezionatore della Nazionale per un professionista che ha lavorato tutta la vita con i club cercando di creare un gruppo, modellandolo giorno dopo giorno e provando a entrare nella testa dei giocatori. Lui però ce la sta mettendo tutta, misurandosi con se stesso e dicendo anche cose che dovrebbe evitare. Ad esempio questa: «Il dominio di gioco della Spagna? Devi fare una squadra di corsa, che non palleggia, e dare il pallino in mano agli avversari. Non è un calcio che mi piace molto fare, mi rimane difficile insegnarlo, per fare quello sono la persona meno adatta».
luciano spalletti dopo italia croazia 5
Fin troppo onesto ma spiazzante, detto da un ct. E a proposito dell’ipotetico patto con i giocatori: «Chi racconta le cose di spogliatoio fa male alla nazionale». Sempre rivolgendosi a chi aveva posto la domanda: «Quanti anni ha lei? 51? Io 65, le mancano ancora 14 anni di pippe per arrivare alla mia esperienza… Lei lo dice perché è quello che le hanno detto. Io ci parlo coi calciatori, qual è il problema?». Nella notte le scuse. Spalletti sembra talvolta delirante, invece è genuino, logico, perfino elementare: è l’originale. Quando si decide di prendere il pacco Luciano bisogna riuscire ad accollarselo per intero. Tenendo tutto il buono, che è tanto, ma anche il meno buono.
SPALLETTI
Estratto dell’articolo di Fabrizio Patania per il Corriere dello Sport
(...) Lo sbrocco stava montando da giorni, era solo tenuto nascosto dal continuo combattimento con se stesso. Chissà non si sia liberato e non cominci adesso il suo vero Europeo.
luciano spalletti
Le aspettative sono alte, forse troppo e collegate alla tradizione, non al livello attuale del calcio italiano. Lucio, salito in corsa e centrato il traguardo (per niente scontato) dell’Europeo, pensava che tutti indossassero la stessa maglia azzurra. Non è andata così, anche se non sono più i tempi di Bearzot, di Zoff o di Lippi. Nel taglia e cuci dei suoi ragionamenti, comincia ad avvertire diffidenza, scetticismo.
Se affronta con coraggio le Furie Rosse, gli rimproverano presunzione. Se modifica l’assetto davanti ai marpioni capitanati da Modric, gli dicono che ha pensato solo a difendersi. Così diventa complicato contenere il disappunto. Prudenza? Ma quale prudenza? È saltato su, come è successo nel salotto di Sky Sport, quando Paolo Condò e Fabio Capello gli hanno chiesto del cambio di modulo. E il patto con lo spogliatoio? Ma quale patto? Apriti cielo.
Ombre e fughe di notizie inesistenti dal ritiro e dal campo blindatissimo di Iserlohn, circondato da teloni e cespugli, hanno attraversato la conferenza stampa di mezzanotte. Eppure è diventato quasi impossibile indovinare la formazione. Figuriamoci le analisi tattiche sviluppate all’interno dello spogliatoio. La domanda di Dario Ricci (collega di Radio 24) ha finito per scatenarne la reazione. Per un attimo Spalletti ha ruggito come ai tempi in cui a Trigoria infuriavano le polemiche legate a Totti e diventava una belva.
LUCIANO SPALLETTI
All’epoca li chiamava riportini. «Parlo sempre con i miei giocatori. Devo saper ascoltare con le loro orecchie e vedere con i loro occhi. Non è un’interpretazione, glielo hanno raccontato. Che ci sia nell’ambiente interno uno che racconta le cose fuori fa male alla Nazionale». Il ct pensava che certe indiscrezioni fossero uscite dallo spogliatoio, dall’ambiente federale o dall’albergo che ospita il ritiro tedesco. Caccia alla talpa. Persino Gravina e Brunelli, seduti in prima fila, hanno compreso in fretta l’equivoco e sono intervenuti per ammorbidire il caso lungo il tragitto che alle due di notte riportava l’Italia, di rientro a Dortmund, verso l’aeroporto di Lipsia. Telefonata, scuse e chiarimento.
SI CAMBIA La cronaca notturna, divertente perché figlia di un corto circuito da tensione agonistica, ha svelato in realtà quanto Spalletti stia navigando a vista e si stia sforzando di adattarsi, dal punto di vista tattico, ad ogni esigenza. Non è integralista, il contrario. Calcola gli avversari, si mette a specchio. Cerca i duelli individuali. Lo ha dimostrato all’atto delle convocazioni, nelle due amichevoli di preparazione e nelle tre partite del girone. Difesa a quattro oppure a tre? Giochiamo con due moduli, facciamo o proviamo tutto quello che ci serve. Il problema semmai è un altro. Non ha ancora trovato la formula ideale su cui puntare stabilmente.
luciano spalletti
Il suo marchio riconoscibile di fabbrica in azzurro dovrebbe essere la capacità di sorprendere. Il gioco, lo ammetterà, ne sta risentendo. Così a Lipsia ha spiazzato tutti, nessuno se lo aspettava o lo aveva capito, cambiando uomini e modulo a poche ore dalla partita con la Croazia. Fuori tre giocatori (Chiesa, Cambiaso, Cristante a beneficio di Raspadori, Darmian e Pellegrini) e variazione di modulo (3-5-2, non 4-2-3-1) rispetto all’assetto provato nella rifinitura di Iserlohn. Nessun patto con lo spogliatoio, per come era stato declinato o interpretato. Solo l’intenzione di andare incontro alle abitudini dei suoi giocatori.
Spalletti aveva provato la difesa a tre anche sabato, nel primo allenamento di preparazione alla Croazia. La tentazione esisteva. È l’assetto preferito dal blocco dell’Inter, in una partita decisiva e così complicata poteva essere la soluzione congeniale. Il ct lo aveva spiegato prima della partita ai microfoni di Sky Sport. Due motivazioni principali.
Ritrovare pericolosità in attacco inserendo Raspadori (un suo fedelissimo) vicino al centravanti. Scamacca aveva sofferto troppo nelle prime due partite e l’alternanza con Retegui era stata programmata, altrimenti il centravanti dell’Atalanta non sarebbe entrato con la stessa energia. Spalletti, come raccontano a Napoli, non molla i suoi uomini. Jorginho, criticatissimo e sostituito con la Spagna, è rimasto al centro dell’Italia. «Con un altro allenatore forse non avrei giocato» ha raccontato con sincerità Di Lorenzo, confermato titolare dopo l’imbarcata con Nico Williams.
luciano spalletti
Ecco la vera chiave tattica da analizzare. Quando l’Italia difende a quattro, uno dei due esterni offensivi (sarebbero stati Chiesa e Cambiaso) si deve abbassare a turno come quinto. Lucio temeva i “tagli” verso il centro di Sucic e Pasalic e le discese di Gvardiol e Stanisic. Non si sentiva sicuro e allora ha cambiato formazione. Meglio mettersi a 3 con Di Lorenzo e Dimarco larghi per “riconoscere” gli esterni della Croazia e non perderli di vista. Qualche metro di campo lo ha perso.
CRESCITA Lucio avrebbe voluto più coraggio in certe fasi della partita e continua a reclamare un palleggio pulito per uscire dallo “stretto” e dai duelli lanciando in campo aperto. L’Italia, troppo timida, non ci riesce. Dimentica le proprie qualità, commette errori illogici. Non dipende dall’ipotetico patto con lo spogliatoio o dal sistema di gioco, ma dall’insicurezza. Conta il principio del pallone da infilare nello spazio che si crea tra i singoli avversari e non tra le linee. Non facile da scrivere e da spiegare. Ecco la battaglia eterna di Spalletti con i giornalisti: il calcio non è semplice, divulgarlo ancora meno.
LUCIANO SPALLETTI GIANLUCA SCAMACCA donnarumma spalletti