Marco Giusti per Dagospia
Antonio Cantafora - Michael Coby 1
Se ne va Antonio Cantafora, noto anche come Michael Coby, 80 anni, uno dei grandi protagonisti della stagione del cinema di genere italiano tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Bello, sportivo, sempre pronto all’azione, ha girato oltre 60 film, western, avventurosi, horror, thriller, postatomici, decameroni, con ruoli sia da protagonista che minori, ma sempre di buon livello.
Diretto dai maestri del genere, Mario Bava, Ferdinando Baldi, Franco Rossetti, Gianfranco Parolini, Giuliano Carnimeo, Bitto Albertini, ma anche da maestri del cinema d’autore, Federico Fellini, Alberto Lattuada, Roberto Faenza. In ogni lingua e paese.
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Fu uno dei pochi infatti in grado di lavorare in Spagna, in Brasile, di dividere la scena da co-protagonista con Joan Collins in “The BItch”, con Sonia Braga e Marcello Mastroianni in “Gabriela” di Bruno Barreto, di passare da “La casa in Hell Street” di Michael Winner al folle “Supersonic Man” di Juan Piquer Simon, il suo titolo più assurdo, dove è il protagonista umano pronto a diventare un alieno dai superpoteri col colpo del culturista José Luis Ayestaran.
Nato a Crotone nel 1944, si sposta presto a Roma, dove studia all’accademia Fersen e si butta alla fine degli anni ’60 nel magico mondo degli spaghetti western e del cinema italiano più marginale. Lo troviamo nel curioso “Ombre roventi” di Mario Caiano con William Berger, ne “El Desperado” di Franco Rossetti con Andrea Giordana e Rosemary Dexter e nel più autoriale “Lo stato d’asseddio” di Romano Scavolini, dove incontra Joan Collins, Matthieu Carriere, Faith Domergue.
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E’ un horror-western “E Dio disse a Caino” di Anthonio Margheriti con Klaus Kinski, che ritrova in “Black Killer”, raro western diretto addirittura da Carlo Croccolo. Bava lo sceglie assieme a Elke Sommer, Joseph Cotten e Massimo Girotti per “Gli orrori del castello di Norimberga”, Armando Crispino lo sceglie per “La badessa di Castro” con Barbara Bouchet, Pier Paolo Capponi e una giovane Mara Venier.
Ma il successo gli arriva prima con i decameroni. Da “Decameron proibitissimo” di Marino Girolami dove è Fra’ Domenico, poi con il divertente e non meno volgaruccio “Metti lo diavolo tuo ne lo mio convento” di Bitto Albertini, dove ha il ruolo di Ricciardetto, il “pittore scopatore,” grande successo dell’epoca, presto seguito da “… e continuavano a mettere lo diavolo ne lo inferno”, sempre diretto da Bitto Albertini, che proverà anche la contaminazione con il kung fu di Hong Kong in “Crash! che botte… strippo, strappo, stroppio”, dove Cantafora recita con Lo Lieh e Robert Malcolm.
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Fa un passo in avanti quando Manolo Bolognini prima e Ibrahim Moussa e Edmondo Amati dopo gli fanno fare coppia, col nome di Michael Coby, con il grosso attore americano-israeliano Paul L. Smith, che prenderà poi il nome di Adam Edel. Sono la fotocopia di Bud Spencer e Terence Hill, doppiati dagli stessi doppiatori degli originali, cioè Glauco Onorato-Bud e Pino Locchi-Terence, in film davvero molto simili, per film di facile esportazione ma non di piccoli budget.
In coppia girano con la produzione di Bolognini e Baldi alla regia “Carambola” e “Carambola, filotto… tutti in buca”, venduti in tutto il mondo, seguiti da “Simone e Matteo: un gioco da ragazzi” e “Il vangelo secondo Simone e Matteo” diretti da Giuliano Carnimeo e prodotti da Ugo Tucci e “Noi non siamo angeli”, diretto invece da Gianfranco Parolini alias Frank Kramer, prodotto da Amati.
Secondo Parolini che li diresse in “Noi non siamo angeli” erano “bravi tutti e due, specialmente Michael Coby ovvero Antonio Cantafora che era simpatico, vivace e con una gran voglia di fare. L’altro, Paul Smith, era israeliano, un faciolone, niente di particolare, un po’ cialtrone... Ricordo di averlo incontrato una volta in aeroporto che andavamo entrambi in Svizzera e mi disse col suo vocione: ‘Vado a portare i soldi in Svizzera... a big mount of dollars’. Erano i 100-120 mila dollari che Amati gli aveva dato per i suoi lavori in Italia...”.
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E’ il momento maggiore di Cantafora, che come Michael Coby svilupperà una carriera internazionale, girando il postatomico “La casa” di Angelino Fons con Magda Konopka, “Carioca Tigre”, coproduzione italo-brasiliana diretta da Carnimeo con Aldo Maccione, Cesar Romero e Grande Otelo, comico carioca di prima grandezza. Ma lo troviamo anche in “Sahara Cross” di Tonino Valerii con Franco Nero, Michel Constantin, Pamela Villoresi e un giovane Pietro Valsecchi come terrorista arabo.
E’ protagonista di “Midnight Blue” di Raimondo Del Balzo con Cristiana Borghi e copotagonista con Joan Collins di “The Bitch” diretto dall’inglese Jerry O’Hara con Ian Hendry. Gira un po’ di tutto, da “La cavalletta” di Lattuada con Clio Goldsmith e Barbara De Rossi a “Gabriela” di Bruno Barreto a Paraty, in Brasile, da “Demoni 2” di Lamberto Bava a “Puro Cahsmere” di Biagio Proietti a “Intervista” di Federico Fellini. Ha un piccolo ruolo, ma ci teneva molto.
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A differenza di molti altri attori usciti assieme a lui, trova ancora ruoli tra la fine degli anni ’80 e ’90, “Acque di primavera” di Jerzy Skolimowski, “Vacanze di Natale 90”, “Giovanni Falcone” di Giuseppe Ferrara con Michele Placido dove ha il ruolo di Totuccio Inzerillo, “Marquise” di Vera Belmont.
Negli ultimi vent’anni, quando ormai si era spostato a Poggio Mirteto, ha rari ruoli. Ma ha modo ancora di recitare in “Il cartaio” di Dario Argento, “I vicerè” di Roberto Faenza, la serie tv “Elisa di Rivombrosa”. L’ultimo film che interpreta è del 2018, “Uno di famiglia” di Alessio Maria Federici con Pietro Sermonti.
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Fuori dalla protezione di “Michael Coby” ebbe meno occasioni di farsi luce, ma seguitò sempre a recitare con passione e professionalità. Nell’intervista che li feci ormai parecchi anni fa a Stracult lo ricordo come un attore che non aveva forse adeguatamente fatto tesori del suo successo, ma pieno di vitalità e di passione.