Fabio Albanese per "la Stampa"
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Prima davanti casa del fratello la lite per quella vecchia storia dell'eredità, poi la mattanza. Ha ammazzato il fratello, poi è entrato nell'abitazione e, cercandoli stanza per stanza, ha ucciso la cognata, la nipote di 15 anni, il nipote di 11, scovato sotto il letto. Infine si è suicidato.
Le 7,30 di ieri mattina in contrada Safarello, periferia Est di Licata, dove le ultime case del paese cedono il paesaggio a campi di carciofi e serre di primaticci. Lì ci sono casa e azienda agricola di Diego Tardino, 44 anni; ci viveva con la moglie Alessandra Ballacchino, 39 anni, e i figli Alessia, 15 anni, e Vincenzo, 11. Angelo Tardino, 48 anni, arriva determinato a risolvere la questione dei terreni che considera suoi, di un pozzo d'acqua conteso.
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I due fratelli hanno litigato altre volte per questo, lo confermano familiari e vicini ai carabinieri che in passato erano anche stati chiamati in causa per quegli accesi confronti. Ma stavolta Angelo, che ha un porto d'armi e tiene in casa tre pistole e un fucile, ha con sé delle armi.
Anche per questo gli investigatori sono convinti che la sua sia stata un'azione premeditata. La lite in pochi minuti diventa strage: Angelo punta una calibro 9 contro il fratello e fa fuoco; Diego cade a terra, privo di vita. L'omicida non ha finito, non ha ancora soddisfatto la sua sete di rivalsa. Entra in quella casa e, uno dopo l'altro, uccide la cognata e i due nipotini. Poi sale in auto e va via, chiama al telefono la moglie: «Li ho uccisi tutti».
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La donna, atterrita e sconvolta chiama i carabinieri. Le pattuglie accorrono in contrada Safarello, altre chiudono le vie di uscita di Licata: l'assassino è armato, è pericoloso. Lo rintracciano al telefono i carabinieri, provano a convincerlo a costituirsi. Lui tentenna, riattacca.
Lo richiamano, non c'è risposta. Lo rintracciano attraverso le celle telefoniche ma quando sotto un cavalcavia di via Mauro De Mauro, un paio di chilometri dalla contrada della strage, arriva la prima pattuglia, Angelo Tardino è al posto di guida della sua utilitaria, in fin di vita: si è sparato alla testa. Accanto a sé un'altra pistola, un revolver.
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Chiamano un'ambulanza, l'elicottero del 118. Alla Rianimazione del Sant' Elia di Caltanissetta capiscono subito che c'è nulla da fare. Muore alle 12,30, cinque ore dopo avere sterminato i familiari. Per la procura di Agrigento «il motivo del crimine sarebbe rintracciabile in questioni personali e patrimoniali». Il papà della signora Alessandra, Domenico Ballacchino, è stato sentito per ore in caserma per chiarire i rapporti tra i fratelli Tardino. Racconta: «Mia figlia era felice in campagna, aveva ritrovato la serenità. Avevano dovuto lasciare la casa in cui vivevano perché nello stesso palazzo abitava il cognato, ed era un litigio continuo. Non avevano mai fatto denuncia, anche se qualche volta erano intervenuti i carabinieri».
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Nelle scuole dei due ragazzi sono tutti sotto choc: «Vincenzo era un bambino pieno di vita, studioso, attento - dice Tiziana Alesci, una delle sue insegnanti nel Comprensivo Marconi -. E la mamma era molto presente, con lui come con Alessia che è stata nostra alunna». Al liceo classico Linares, dove studiava Alessia, l'insegnante di Lettere Floriana Costanzo ha le lacrime agli occhi: «Era una ragazza seria e pulita, molto studiosa. Oggi ho saputo dai suoi compagni che alla sua amica del cuore aveva confidato che c'erano screzi tra il papà e lo zio». La terra, i soldi, quella casa dove una volta vivevano una per piano le famiglie dei due fratelli e di una sorella. La «roba». Sembra una novella di Verga, invece è una assurda tragedia vera.
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