Estratto dell’articolo di Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
archeologa Piergiovanna Grossi
Il Signor Ministro Gennaro Sangiuliano ce l’ha fatta: la suddita Piergiovanna Grossi, di professione docente a contratto, che chiedeva di pubblicare due foto da lei scattate in un archivio a corredo d’un articolo scientifico scritto gratuitamente su una piccola rivista culturale senza scopi di lucro, fermata sulla battigia burocratica dalle nuove gabelle, è stata inchiodata dopo una surreale corrispondenza protocollata di migliaia di parole più allegati (compreso un contratto!) a pagare il balzello dovuto: 2 euro. Pari a mezza scatoletta di tonno o sei etti di cicoria. Dura lex, sed lex.
Direte: ma sono pazzi? Quanto è costata alla sventurata istituzione pubblica, delegata a rastrellare i pedaggi stabiliti dalle nuove norme, quella corrispondenza con la professoressa che chiedeva una cosa che fino a pochi mesi fa era per legge, ovviamente, gratuita?
gennaro sangiuliano foto di bacco (1)
Fatevi due conti. Partendo da un dato: le lettere alla docente sono firmate non da una stagista part-time delegata alle bagattelle d’ufficio ma (ahilei!) dalla direttrice in persona dell’archivio di Stato di Venezia. Uno dei più importanti al mondo. Che avrebbe sicuramente mille cose più importanti da fare.
Ma partiamo dall’inizio. E cioè dal Decreto Ministeriale 161 dell’11 aprile 2023 fortissimamente voluto dall’attuale titolare dei Beni Culturali nonostante il parere contrario d’una moltitudine di studiosi.
L’obiettivo originale, di per sé, non era e non è sbagliato: è ovvio che l’Italia ha il dovere di mettere dei paletti contro l’uso di foto del David di Michelangelo con delle sneakers ai piedi o del Bacco di Caravaggio con uno smartphone in mano: le ricordiamo tutti certe schifezze come i Bronzi di Riace usati per fare pubblicità alle uova reggine («Uova grandissime!»), alle sagre della birra («i famosi Sbronzi di Riace») e robaccia simile. […]
ARCHIVIO DI STATO DI VENEZIA
È del tutto comprensibile che i musei, le gallerie e il patrimonio artistico italiano in generale pretendano una quota di introiti da chi li usa (se lo fa con decoro) per fare soldi. Ma le pubblicazioni scientifiche e quelle senza fine di lucro che fino a pochi mesi fa dovevano solo mandare al museo interessato una e-mail («Il sottoscritto Tizio Caio comunica di voler pubblicare la riproduzione…») in cui segnalavano l’uso gratuito di questa o quella immagine?
[…] il ministero ha inviato al Consiglio superiore dei Beni Culturali una bozza di possibile rattoppo. Bozza che l’archeologo Giuliano Volpe, uno dei più appassionati difensori del diritto alla gratuità per motivi di studio o di pubblico interesse delle immagini di beni che appartengono ai cittadini, ha subito impallinato.
GENNARO SANGIULIANO NEL FRECCIAROSSA ROMA POMPEI
A partire dalla scelta dei possibili esonerati dal balzello, e cioè solo i dipendenti del ministero (pensa un po’...) e «le riviste scientifiche e quelle di fascia A registrate presso l’Anvur», l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario. Già investite anni fa da una polemica sollevata dal blog roars.it da sempre attento alle storture nel mondo degli atenei.
Tra le 15.998 (quindicimilanovecentonovantotto!) pubblicazioni «suddivise nelle aree non bibliometriche e i gruppi di lavoro» c’erano infatti non solo vari quotidiani generalisti ma EtruriaOggi (il quadrimestrale della Banca Etruria destinata al crac), la Rivista del clero italiano, Yacht capital, La vita cattolica di Udine e così via. Fino a periodici quali Stalle da latte o Suinicoltura, che subito si ribellarono alle ironie: «Nei nostri settori siamo scientifici anche noi».
ARCHIVIO DI STATO DI VENEZIA
Sia chiaro, dopo di allora il numero di riviste «scientifiche» è stato a ridotto a 12.865. Ma gli elenchi messi on-line dall’Anvur sono ancora un diluvio. «Potrebbe essere un primo passo in avanti, che accontenta gli accademici», spiega Giuliano Volpe, «Cosa succede però per tutte le altre riviste, quelle divulgative, quelle promosse da associazioni, fondazioni, varie società? Ebbene, per pubblicare in queste si dovrà pagare!»
Andiamo all’osso: c’è o non c’è una differenza tra una rivista di gossip e una di archeologia? Tra programmi tivù come Ballando con le stelle e Superquark? «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica», come dice l’articolo nove della Costituzione, solo nelle accademie?
archeologa Piergiovanna Grossi
Prendiamo la storia da cui siamo partiti. Un’archeologa con una sessantina di pubblicazioni nel curriculum, porta a termine una ricerca su un bene architettonico minore, l’Oratorio del Montirone ad Abano Terme (Padova), dove dimostra che il corpo di fabbrica settecentesco va attribuito con certezza a Domenico Cerato, l’architetto di Prato della Valle.
E si accorda per pubblicarlo, senza un centesimo di guadagno o di rimborso spese, su Padova e il suo territorio, una colta e benemerita rivista bimestrale che si occupa solo di temi tipo «Il recupero e la valorizzazione dell’ex chiesa di Sant’Agnese a Padova» o «Villa Borromeo di Sarmeola e i suoi affreschi». Immaginatevi voi il business miliardario...
Bene, a sostegno della sua dettagliata ricerca corredata da 31 note bibliografiche la docente decide di inserire due documenti conservati all’archivio di Stato di Venezia. Come impongono le nuove norme sangiulianesi chiede dunque a quell’archivio un preventivo (pagando 16 euro di marca da bollo a foto per il solo preventivo!) di quanto le costerebbe. Risposta: due immagini 64 euro più 32 di marche da bollo per foto fatte dall’archivio oppure 2 euro più gli stessi 32 per foto fatte di persona dall’autrice.
Oratorio del Montirone ad Abano Terme
E parte un carteggio burocratico paragonabile solo al delizioso Camilleri de La concessione del telefono. Carteggio perfezionato da un contratto vero e proprio di tipo notarile con le righe orizzontali per l’ammontare di 2 euro (uno per ogni foto fatta in proprio) firmato da Stefania Piersanti, che dell’archivio veneziano (4.921 metri lineari di scaffali di libri, mappe e documenti: un tesoro planetario) è la massima dirigente.
Ma non è finita: le due concessioni all’uso delle immagini, una per ogni foto, e solo cartacee, dovranno essere ritirate personalmente. Oppure, se proprio la docente in questione volesse servirsi di uno strumento chiamato lettera postale in uso prima delle avveniristiche e-mail, è pregata di spedire «un’affrancatura pari a € 7,45 (sette/45) in francobolli per la spedizione raccomandata». Signor ministro Sangiuliano, andiamo avanti così?
pagamenti per ottenere una foto di un documento all archivio di stato di venezia archeologa Piergiovanna Grossi