Luisa Mosello per “Specchio - La Stampa”
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Si scrive caviale e si legge made in Italy. Sì, perché questo prezioso tesoro del gusto che si associa sempre alla Russia (e all'Iran) ha un rapporto strettissimo con l'Italia che ne è il primo produttore in Europa. E, dopo la Cina, il secondo a livello mondiale con il 22% della produzione globale, pari ad oltre 25 tonnellate annue di uova di storione. Per circa 25 milioni di euro in totale con prezzi all'origine che vanno dai 400 ai 500 euro al chilo.
Si tratta di un prodotto di allevamento perché dagli anni Novanta il pesce da cui deriva il caviale originale è diventato una specie protetta a rischio di estinzione e non può essere più pescato nei laghi russi o iraniani.
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Ecco perché se ordiniamo questo simbolo di lusso da gustare - di nicchia sì ma sempre più accessibile e democratico grazie alla formula aperitivo con 10 grammi di prodotto - non ci arriverà quello proveniente dai laghi siberiani o del mar Caspio ma al 99% dall'acquacoltura, in maggioranza dagli allevamenti cinesi seguiti dagli italiani. Una presenza ben salda nel nostro Paese dove le aziende produttrici si concentrano al nord. In Veneto per esempio a Breda di Piave nel Trevigiano c'è la Caviar Giaveri. Ma è dalle grandi vasche dell'acquacoltura lombarda che sulle tavole di buon gusto del pianeta arriva oltre il 15% della produzione mondiale di caviale.
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A Calvisano, in provincia di Brescia c'è Agroittica, ritenuto il più grande stabilimento al mondo, con il brand Calvisius. A Pandino, Cremona, Adamas Caviar e nel Parco del Ticino, fra Lombardia e Piemonte, Italian Caviar con Ars Italica. A Cisliano, nel Parco Agricolo Sud della Provincia di Milano su un'area di 5 ettari si trova quella che è stata definita «un'eccellenza»: l'Azienda agricola Pisani Dossi che ha un impianto la cui acqua di alimentazione deriva esclusivamente dall'estrazione di 4 pozzi e una risorgiva naturale.
«La caratteristica del nostro caviale è l'esser fresco - racconta Eugenio Litta, partner export e sviluppo dell'azienda nata nel 1982 dalla passione dell'ingegner Giorgio Peterlongo e dalle competenze di Stefano Maturano, specialista nella produzione dello storione in Italia - Viene estratto, lavorato e salato senza aggiungere conservanti di alcun tipo, confezionato sotto vuoto e pronto per essere consumato senza ulteriori passaggi. Al palato risulta più delicato, meno acido, mai "pescioso". Quello stagionato invece viene posto in latte di quasi due chili e lasciato nelle celle frigo a maturare per mesi, a volte anche più di 12. Questo metodo tramandato dai produttori russi e iraniani oltre al sale necessita di conservanti, generalmente acido borico».
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Le specie di storione sono più di 20 ma sul mercato son tre le più famose: Beluga, Osetra e Sevruga. Prelibato anche il Siberiano, oltre all'albino Ruthenus, e al Da Vinci. Quest' ultimo, detto anche storione dell'Adriatico, ha origini italiane ed è l'unica specie autoctona delle tre italiche che sia sopravvissuta. In tanti sostengono che il caviale, che in Russia iniziò a diffondersi nel 1700, abbia avuto i natali tre secoli prima proprio nel Bel Paese, nelle corti rinascimentali. Leggenda vuole che Leonardo mentre passeggiava lungo il Ticino a Pavia dopo aver visto uno storione decise di donarne le uova simili a piccole perle a Beatrice d'Este, incastonandole con gemme preziose in uno scrigno.
Alla fine del 1400 fu Bartolomeo Sacchi a descrivere le «uova di storione condite, salate, che prendono il nome di caviare». E nel 1500 si proponeva la ricetta del «caviaro per mangiare, fresco, o per salvare (conservare, ndr)».
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In cucina Domenico Vescera, chef pugliese che da anni lavora in Belgio nell'alta ristorazione, consiglia di abbinarlo ad alimenti poco salati e a frutti come mela, more e lamponi per farne risaltare la sapidità ed esaltarne il gusto di mare. Nelle ricette che regala ai lettori di Specchio ha usato il caviale Osetra di Pisani Dossi perché «ha equilibrio e grande persistenza al palato».
«Per riconoscere il prodotto di qualità - raccomanda - occorre guardare il colore delle uova che deve essere grigio perla. E la loro grandezza: non devono essere molto piccole né agglomerate. Se non sono ben distaccate e sgranate potrebbero essere molto vecchie e dannose per la salute». -
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