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    GO, GOGGIA, GO! - "SONO PARTITA PER L'OLIMPIADE CON UNA SOLA COSA IN TESTA, VOLEVO BATTERE LA VONN. NON SENTIVO LA PRESSIONE, DOPPIO ZERO, COME LA FARINA, ERO SICURA DI VINCERE GIÀ PRIMA DI PARTIRE" – I MIEI FAMILIARI NON SONO VENUTI IN COREA? IL POSTO ERA BRUTTO" - POI RIVELA I SUOI RITI PRE-GARA, LA SUA PASSIONE PER I LIBRI E PER KAVAFIS: “ITACA? E’ LA MORTE. CONTA L’EVOLUZIONE, NON LA META" - VIDEO


     
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    Marisa Poli per gazzetta.it

     

    Il primo giorno è servito per elaborare quanto le è capitato, il secondo per la terapia, nel terzo Sofia Goggia è già volata oltre l'oro. Sta già guardando avanti, alla Coppa di discesa che può vincere, alle gare che mancano per chiudere la stagione dei sogni. "Grinta, cuore, grazie Sofi" è lo striscione che la accoglie all'ingresso della sua via, ai piedi di Città Alta, sopra il monastero di Astino.

     

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    Nella sua passeggiata per la Corsarola sono tante le persone che la fermano per i complimenti, per chiederle una foto, per dirle "sei il nostro orgoglio" o un semplice "bravissima". Succede anche nel Duomo di Bergamo, dove la campionessa olimpica spesso va a seguire la Messa della domenica, quando è a casa, per sentire l'omelia e le parole del parroco, don Fabio Zucchelli, "uno che fa sempre pensare", dice Sofi. La medaglia d'oro è a casa, nessun posto speciale, è sulla credenza accanto agli altri trofei, nel mezzo dei due di Jeongseon della scorsa stagione. Qui ci sono le sue radici, gli amici di sempre, Giovanni, il compagno di scuola delle elementari a cui racconta tutto.

     

    Ci spiega che cosa aveva in testa quando non smetteva di coccolare la sua medaglia, sul podio? 

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    "Ho visto il presidente del Cio, Bach, che me la portava: è davvero mia, sta arrivando per me. E poi continuavo a pensare: il sogno della mia vita è tra le mie mani, l'ho raggiunto, è vero".

     

    E che cosa cambia, dopo l'oro? 

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    "Dopo Garmisch sono partita per l'Olimpiade con una sola cosa in testa, volevo battere la Vonn. Con il passare dei giorni mi sono accorta che era diventato un caso mediatico, ho preferito togliere l'attenzione da lì, non volevo che mi togliesse l'attenzione da quello che volevo davvero, la medaglia. E dopo il superG ho cominciato a costruire la discesa".

    Come ha cancellato la pressione? 

    "Sembra una sbruffonata, ma io non ne avevo, di pressione: doppio zero, come la farina. Sapevo che indipendentemente da come sarebbe andata, io sarei rimasta la stessa. Per tanti atleti i Giochi sono il D-day, il giorno del giudizio, per me era solo parte di un percorso e ho capito che le mie aspettative non si sarebbero fermate lì, avevo già guardato oltre. Era solo una tappa del processo, non il traguardo. E poi ero lì a fare la cosa che mi piace di più, a realizzare i miei sogni".

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    Eppure poche settimane fa era stata protagonista di una bruttissima caduta a Cortina. 

    "E' stata fondamentale, come tutti gli up and down della mia carriera, mi è servito per crescere. E la mia analisi è stata: la vittoria nella discesa del venerdì ha portato alla disfatta, alla caduta del sabato. Perché ho dato il merito della mia vittoria all'errore della Vonn, così sono andata al cancelletto convinta che avrei dovuto spingere ancora di più per vincere. È stato un errore di calibrazione. E ho lavorato con Lucia (Bocchi, la psicologa, ndr ) per scardinare ciò che mi spingeva ad andare oltre. Dopo 5 giorni ho trovato la centratura e ne è venuta fuori la Sofia solida di Garmisch. E sapete perché ho sbagliato in superG all'Olimpiade?".

     

    Perché? 

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    "Sono partita nel superG olimpico con una serenità, con una autenticità nella sciata, ho provato sensazioni così forti che mi sono abbandonata al piacere di sciare e mi sono deconcentrata. Prima di quell'errore avevo 58/100 di vantaggio, ma quella gara mi ha fatto tornare la Sofia che a 7 anni voleva essere la prima anche nella pista di collegamento a Foppolo. Avevo già vinto prima di vincere, per il significato che c'era. Lì ho ritrovato Sofia. E ho accettato il fatto che anche se non avessi vinto, sarei stata sempre io".

    Perché ha scritto "io non sono gigante, sono libera": significa che lascerà il gigante? 

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    "No, assolutamente. È che me lo sentivo che avrei vinto questo oro e in testa avevo già tutto, dopo il gigante avevo fatto un post con scritto: "Io non sono gigante, ma Fede lo è", ce ne sarebbe stato uno dopo il superG, ma poi era capitata quell'emozione. E dopo la discesa ho finito con l'ultimo messaggio".

     

    Quindi è vera questa cosa che si sveglia e sa che vincerai? 

    "Poi non sai mai, ma dopo quello che ci siamo dette con Michela (Moioli, ndr) nella cena prima di partire per i Giochi, con la sua storia dell'anello e la mia del tappo, abbiamo capito che non erano coincidenze. Certe cose le colgo e, per esempio, il tappo della bottiglia che mi ero portata via da Jeongseon non l'avevo messo nel saccone dell'arrivo per il superG. Ma per la discesa era nella tasca sinistra della mia giacca, pronto a essere restituito a chi me l'aveva dato. Quella mattina, quando ho messo gli scarponi in ovovia, ho sentito di essere centrata, e non sto parlando solo di tecnica, ma di spirito".

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    Diceva di non essere scaramantica. 

    "E non lo sono. Essere scaramantici vuol dire non prendere la cabina numero 13 per risalire. Io ho i miei riti prima della gara: la respirazione, lo yoga".

    Sempre gli stessi? 

    "A Garmisch c'è stata una novità. Al team hospitality c'era troppa confusione, allora al bar in partenza c'erano bagni grandi, sono entrata nel quinto, ho messo tutte le mie cose lì e sono stata lì un'ora e mezza a preparare la mia gara. Medito, metto i tappi nelle orecchie, uso le cuffie insonorizzanti di mio papà, non prendetemi per psicopatica, a me piace sentire i battiti del mio cuore per entrare in sincronia con il respiro. E in Corea ho fatto lo stesso, ho lasciato tutto al team hospitality, mi sono chiusa in bagno di nuovo".

     

    Lei è appassionata di fotografia, che immagini si porta a casa dalla Corea? 

    "Avevo la Polaroid ma si è rotta. In testa ho la foto della cerimonia di apertura con Evelin Insam, siamo amiche sin dall'arruolamento, una di quelle persone che è come se ti conoscessero da sempre. La seconda è una di me, nella mia camera, mentre penso. La terza è il bacio alla neve, avvolta nel tricolore: li sono proprio io".

     

    A Jeongseon ha vinto 3 gare su 4, che cosa c'era di speciale in quella pista? 

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    "E' la pista della maturità, nella prima parte devi stare attenta, ci sono due punti in cui puoi fare la differenza. Nella prima prova ho trovato la linea perfetta, e senza sembrare presuntuosa, in discesa certe linee le ho solo io. Nella seconda ho messo intensità, facendo le linee giuste, nella terza mi è riuscita una cosa difficilissima per me, scendere da turista, in folle, una cosa totalmente contraria al mio carattere. Una crescita pazzesca anche lì".

     

    Dopo un inizio stagione così complicato se lo sarebbe aspettato? 

    "Avrei firmato. E troppo focalizzata sul risultato, avevo tante ansie per riconfermarmi, per le aspettative che avevo addosso. Sono passata da zero a tredici podi in una stagione, che cosa mi potevo inventare per andare più forte? Non basterà, pensavo. Sono partita con l'idea di dover fare qualcosa in più, a Soelden mi sono sentita inadeguata già al cancelletto".

     

    Ora sistemiamo anche il gigante? 

    "Certo, negli Stati Uniti non ci eravamo mai allenate, non siamo state fortunate con le condizioni. Ho lavorato su linee diverse, però almeno il fatto di non essere andata in gigante mi ha fatto concentrare su ogni piccola cosa. Quest'anno mi sono dovuta costruire tutto da capo, alla fine sono arrivati già 7 podi e l'oro all'Olimpiade".

    Insomma, tutto liscio. 

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    "Eh no, in gigante in Corea ho quasi inforcato e mi è tornato il dolore al ginocchio. Ero tutta indolenzita, sotto le mani del fisioterapista, ma a un certo punto gli ho detto: da adesso in poi, basta lamentarsi, anche Svindal zoppica, ma vince lo stesso".

    La sua famiglia non l'ha accompagnata in Corea. 

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    "Con la mia famiglia c'è un legame forte, ma come potevo farli venire in un posto così, in Corea, dove non c'è niente: avrei avuto il pensiero che sbagliassero a prendere la navetta. Mi avrebbero messo più agitazione che altro".

     

    Obiettivi ora? 

    "Il più vicino è la Coppa, mi piacerebbe vincere un superG. E poi riprendere il gigante, perché la tecnica è importante per me anche nella velocità".

    Come va con la Vonn? 

    "Bene, l'ultimo giorno l'ho invitata a Casa Italia, ma lei aveva un altro impegno. A Are mangeremo qualcosa insieme. Volevo spiegare bene: non le ho chiesto di continuare per me, non è che mi sento così forte da potermi misurare solo con lei. È che lei è una leggenda e deve battere questo record di Stenmark. Deve andare avanti, se si gestisce meglio può farcela. E poi davvero, è una brava persona".

    Ci fa un esempio? 

    "Lei nella ricognizione prende le sue compagne e spiega loro dove passare, questo è aiutare i giovani, lasciare un'eredità, essere campioni".

    Qual è stata la colonna sonora dei Giochi? 

    "Mi sono portata il video di Garmisch, quando ho suonato con la banda "The time of my life"".

    E che libri si è portata? 

    "Ho abbandonato un po' la lettura. Questa stagione ho ripreso a scrivere, ho tenuto un diario sulla mia Moleskine. Scrivo le mie emozioni, quello che vedo".

    E come la mettiamo ora con Itaca e la meta da raggiungere, quella poesia di Kavafis che è stata il leit motiv di tutta la scorsa stagione? 

    "Ero in piscina a nuotare in questi giorni e mi è venuta l'illuminazione: Itaca è una buffonata, è la morte. Non è che arrivi a una cosa e basta. Conta l'evoluzione, non la meta".

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