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Daniele Vulpi per Repubblica.it
Gli uni hanno bisogno degli altri. Da una parte ci sono giganti del web come Facebook e Google, che nel 2017 si porteranno a casa complessivamente il 46,6 % della pubblicità digitale globale ma - al tempo stesso - hanno diversi fronti di sofferenza tra cui fake news, Antitrust e tasse; dall’altra ci sono gli editori dei giornali che, pur alla prese da anni una contrazione del mercato pubblicitario tradizionale, producono informazione di qualità.
Due mondi destinati a incontrarsi e a collaborare perché i primi (soprattutto i social) hanno capito che da soli rischiano di diventare la casa delle notizie false, mentre i secondi sanno che tocca spostarsi laddove ci sono i lettori offrendo anche sui social informazioni garantite e, naturalmente, provare a guadagnarci.
THE WALL STREET JOURNAL
L’ultima mossa è di Facebook, social da due miliardi di utenti. Trapelata nelle scorse settimane fa e ribadita ora da n.1 Mark Zuckerberg. È una nuova funzione sperimentale di Instant Articles - il servizio lanciato nel 2015 che porta le news direttamente sul social in blu - pensata per evitare che altri giornali abbandonino la piattaforma causa scarsa redditività come hanno fatto Wall Street Journal, New York Times e Forbes. Evidentemente la pubblicità veicolata da Facebook da sola non basta agli editori e così il social, per tenerli sulla sua piattaforma, ha scelto di testare una nuova possibile fonte di guadagno: promuovere abbonamenti e sottoscrizioni ai contenuti dei giornali presenti su Instant Articles.
fuck zuck 2020 a los angeles copia
Come? Lettura gratuita sul social di un certo numero di articoli al mese dopo di che compare il paywall e ci si deve abbonare per continuare a leggere le notizie. Tra le ipotesi anche quella di facilitare la trasmissione dei dati dell’utente direttamente da Facebook al giornale che a sua volta gestirebbe in totale autonomia la transazione economica con il lettore. Qualche giorno fa anche Google ha fatto sapere che semplificherà il pagamento delle news agli editori.
mark zuckerberg harvard
La strada è appena tracciata. Ma funzionerà? Se lo augurano tutti i protagonisti. Anche perché questa è la tessera di un mosaico ben più grande: già a febbraio scorso, per rispondere alle pressioni degli editori e dei regolatori da una parte (privacy, tasse, concorrenza, accaparramento della torta pubblicitaria, fake news) e alla competizione con Google (che aveva già lanciato la Digital News Initiative, per il giornalismo di qualità) il social ha annunciato il Facebook Journalism Project.
Che comprende diverse iniziative: scambio con gli editori di una parte dei dati generati dai loro lettori quando interagiscono con i contenuti dei giornali su Facebook, alfabetizzazione digitale degli utenti, monetizzazione pubblicitaria con video e Instant Articles e, appunto, promozione degli abbonamenti e dei contenuti a pagamento per i giornali presenti su Instant Articles.
mark zuckerberg 3
C’è anche lo sforzo per rendere più evidenti i contenuti di qualità sul social: proprio due giorni fa il social ha messo i loghi dei giornali accanto agli articoli nelle sezioni “trending” e “search”. Bene in vista per dare ai lettori garanzia di fonte certa. In Italia compariranno a giorni.
FACEBOOK ADDICTED
Facebook, insomma, spinge perché la sua comunità sia informata e consapevole. “E non possiamo farlo senza i giornalisti”, ha postato Zuckerberg, “ma ci rendiamo anche conto che le nuove tecnologie possono rendere più difficile per gli editori finanziare il giornalismo su cui tutti fanno affidamento”. E ancora: “Stiamo per testare nuovi modi per far crescere i loro abbonamenti. Se le persone si abbonano dopo aver visto le notizie su Facebook, i ricavi andranno direttamente agli editori che lavorano duramente per scoprire la verità e Facebook non prenderà nulla. Si parte entro la fine dell’anno con un piccolo gruppo di editori americani e europei. Poi ascolteremo i loro commenti”.