Ottavio Fabbri per “Libero quotidiano”
marlon brando e il cappotto cammello in 'ultimo tango a parigi' 2
Parigi, primavera/estate 1972. Ieri sera mi ha telefonato Bertolucci e sapendo che ero di passaggio a Parigi mi ha invitato per questa mattina sul set del suo nuovo film scritto da lui e da Kim Arcalli, caro amico, sceneggiatore e geniale montatore del cinema più raffinato di questi anni.
Siamo alla Salle Wagram, magico vecchio luogo di danze, lampioni, di affusolate colonne e segreti sospiri, scelto da Bernardo per iniziare a raccontare il suo “Ultimo tango a Parigi”. «Non è ancora arrivato... oggi ha la prova costumi».
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Immagino, senza dovere farne il nome, che si tratti di Marlon Brando, protagonista del film dopo il rifiuto di Belmondo e di Alain Delon. La Produzione è la Paramount società acquisita dalla Gulf&Western di Charles Bluhdorn, interessantissimo tycoon austriaco.
Appare nella grande sala una piccola sarta, aiuto della bravissima costumista Gitt Magrini. «Dottor Bernardo... c’è di là uno addormentato in sartoria... che? Forse è la controfigura de Brando? Ie assomiglia davvero, dotto’!».
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Bertolucci si alza di scatto dalla panchetta su cui si era seduto e corre verso il locale adibito a sartoria, io lo seguo velocissimo con una curiosità ancor più forte della sua preoccupazione di non aver ricevuto degnamente la più grande star e leggenda del cinema americano.
«What are you doing here! I am so sorry Marlon! Nobody told me that you were waiting! I am terribly sorry!». «Don’t be sorry Bernardo! Arrived very early... I found a seat and I fell asleep... I have still the jet lag, I crashed».
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IL MITO Non oso dare la mano a questo mito che comunque non ci pensa neanche e prende sotto braccio il suo regista iniziando a chiacchierare come vecchi amici.
Brando racconta ridendo di una giornalista americana che gli ha chiesto come si fa nella vita a diventare Marlon Brando e lui ha risposto: «Semplice... basta avere la faccia di Marlon Brando». Si ripresenta la piccola sarta con un cappotto di cammello in cui riesce anche ad inciampare.
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«Bernardo... c’è un casino di là. Che è questo il paltò del dottor Brando?». «Ma no! Questo è il mio!». «Let me try Bernardo! I love it». E se lo infila allacciandosi anche la cintura. «It’s perfect! I will do the movie with this wonderful coat!». Bertolucci ha una momento di intensa sofferenza. «Ok, I like». Il cappotto in cammello di Brando in “Ultimo Tango” rimarrà per sempre una indimenticabile icona del film più controverso della storia del cinema.
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E Brando non restituirà mai il cappotto al suo regista che ne parlerà ancora per anni come dell’«Ultimo Cappotto a Parigi».
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