TERRY O NEILL BOWIE
Enrico Franceschini per “la Repubblica”
«Immodestamente, penso che la foto più bella mai scattata agli Oscar sia la mia».
Intitolata The morning after, Faye Dunaway sul bordo della piscina di un hotel di Hollywood, con la statuetta di miglior attrice vinta la sera prima e i giornali sparpagliati sul tavolino, l' immagine in questione occupava una parete del Fiat Motor Village, concessionario d' auto e art gallery nel cuore di Londra, in un tardo pomeriggio del 2016. E il suo autore mi stava davanti per un' intervista, sorseggiando un bicchier d' acqua, dopo essere arrivato da solo, in autobus, all' ennesima mostra di una carriera stellare.
Chissà se ieri Terry O' Neill, il fotografo sinonimo della Swinging London, com' era soprannominata la capitale britannica nei favolosi anni Sessanta, ha avuto in mente proprio quel fotogramma, come un ultimo clic prima di chiudere gli occhi per sempre, all' età di 81 anni.
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«Sapevo che le foto alle cerimonie degli Oscar sono tutte uguali», mi disse tra i suoi ritratti celebri esposti da Monica Colussi tra le fiammanti Fiat 500 che hanno conquistato gli inglesi come la Mini.
«Cercavo dunque qualcosa di speciale, che desse il senso di cosa significa ritrovarsi il premio più ambito fra le mani. E il mattino dopo, in albergo, mentre Faye faceva colazione leggendo il resoconto della serata sulla stampa, lo trovai.
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Era il momento in cui si rendeva conto che nulla sarebbe più stato come prima, che era diventata una star e una milionaria. Ma nel suo volto si legge anche un' ombra di malinconia, per tutta la fatica precedente, gli sforzi non riconosciuti, l' insensatezza di sapere di essere la stessa persona di prima eppure di valere di colpo molto di più». Come si fa, gli chiesi, a cogliere l' attimo fuggente? «Ci vuole occhio», rispose Terry ridacchiando, «e un po' di fortuna, come per esempio svegliarsi al fianco dell' attrice che devi fotografare».
La sua love story con la protagonista di Quinto potere, il film per cui Dunaway vinse l' Oscar, era cominciata una settimana prima. Sei anni più tardi si sposarono. Dopo altri tre, divorziarono: «Siamo rimasti amici, abbiamo un figlio insieme», ricordò O' Neill nell' intervista, «ma sposarla fu un errore. Non amo le luci della ribalta, mentre come marito di una stella del cinema finii anch' io sotto i riflettori».
Lui preferiva stare dall' altra parte, con l' obiettivo fissato sul bersaglio. Non era nato con un' aspirazione simile: ce lo ha portato la sorte, con un paio di altri colpi fortunati.
«Ho scattato la mia prima foto soltanto a vent' anni», mi spiegò, «perché in casa mia non c' erano macchine fotografiche». Cresciuto in una famiglia della working class londinese, da giovane sognava di fare il batterista jazz. Per riuscirci sperava di diventare steward della British Airways e andare così a sentire i suoi beniamini nei jazz club di New York.
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La British lo assunse, ma nel personale di terra dell' aeroporto di Heathrow. Un giorno bisognava fotografare l' inaugurazione di un nuovo aereo, il fotografo convocato per il servizio fece tardi, chiesero a lui di sostituirlo. Fra le foto che scattò a casaccio, una riprendeva un tizio che sbadigliava annoiato in un angolo. Si scoprì che era il ministro degli Interni.
Un tabloid gli pagò profumatamente quel piccolo scoop. E Terry intraprese un nuovo mestiere, trasformandosi nel più giovane fotoreporter di Fleet Street, la mitica "via dell' inchiostro" in cui è nato il giornalismo moderno.
«Era un posto fantastico, mi divertivo come un pazzo, stavano esplodendo gli anni Sessanta, il rock, la minigonna, la liberazione sessuale, e i giornali mi chiedevano di fotografare tutto questo». Il secondo colpo di fortuna arrivò quando il Daily Sketch gli domandò se aveva voglia di andare a fotografare quattro ragazzotti di una nuova band che stava provando in uno studio discografico di Abbey Road.
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La sua foto dei Beatles finì in prima pagina. Il giorno seguente lo chiama un tizio che rappresenta un altro neonato gruppo rock, invitandolo a fotografare anche loro: «Erano i Rolling Stones e diventammo grandi amici». Da allora, Terry O' Neill ha fotografato tutti quelli che contano: David Bowie, Brigitte Bardot, Sean Connery, Frank Sinatra, Audrey Hepburn, Dustin Hoffman, Richard Burton, Elizabeth Taylor, Elton John, Amy Winehouse, Nelson Mandela, la regina Elisabetta, per citarne alcuni. Ha avuto mostre in mezzo mondo, le sue immagini sono raccolte in libri meravigliosi (ne conservo uno, con dedica, accanto alla scrivania su cui sto scrivendo questo pezzo), i suoi ritratti sono appesi alla Portrait National Gallery, dietro Trafalgar Square.
È stato uno dei grandi fotografi di una stagione irripetibile, guidato dall' istinto, dalla curiosità e dall' understatement, l' attitudine tutta inglese a non prendersi mai troppo sul serio. Come confermò rispondendo alla mia ultima domanda: ma se l' immaginava che avrebbe avuto una vita così? «Non lo immaginavo io e non lo immaginavano nemmeno i soggetti delle mie fotografie. L' altro giorno ho incontrato Bill Wyman, l' ex-bassista dei Rolling Stones.
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Mi ha chiesto se ricordavo quando, nei primi anni Sessanta, andavamo al pub tutti insieme e ogni sera ci chiedevamo che lavoro avremmo fatto quando tutto questo sarebbe finito. Perché eravamo fermamente convinti, io come loro, che prima o poi la pazza giostra su cui eravamo saliti sarebbe finita. Ebbene, incredibilmente non è mai finita».
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