Massimo M. Veronese per www.ilgiornale.it
John Dillinger
Gli piaceva nascondersi nel buio delle sale cinematografiche, come uno spettatore qualsiasi, per provare il brivido della sfida e per vedere i film di Clark Gable, il suo attore preferito: i capelli pettinati dalla brillantina, il sorriso a metà, il sigaro all'angolo della bocca.
Nell'America della Grande Depressione era popolare come una rockstar, un giustiziere della notte che cancellava con l'acido le sue impronte digitali, ma che aveva una morale meno doppia di tanti moralisti: rapinava le banche ma cancellava i debiti dei poveri dal registro dei creditori, rimetti a noi i nostri debiti senza bisogno che noi li rimettiamo ai nostri debitori. E dalla trama di un film sembra uscita l'ultima puntata della storia di John Dillinger, il gangster dei gangster, il rapinatore con il mitra in braccio, il cappello alla moda e il cappotto di alta sartoria, «il nemico pubblico numero 1» per l'Fbi e il suo direttore J. Edgar Hoover, non a caso il titolo del film interpretato da Johnny Depp.
John Dillinger
Sotto le quattro lastre di ferro e cemento che custodiscono da ottantacinque anni i suoi resti in cima alla collina del cimitero di Crown Hill, a Indianapolis, dove nacque, forse non c'è lui, ma un altro. Per Susan Sutton, della Indiana Historical Society, non è John Herbert junior l'uomo ucciso dall'Fbi quella sera di metà luglio del 1934, cinque colpi di pistola per abbattere un mito maledetto, all'uscita da un cinema di Chicago: proiettavano un poliziesco con Clark Gable, Manhattan Melodrama. Dove alla fine il gangster muore.
john dillinger foto segnaletica
Ai federali lo aveva venduto una prostituta rumena Ana Cumpanas, la «dama in rosso», la gonna arancione era il segnale che quello in sua compagnia era proprio il ricercato dei ricercati, perchè terrorizzata dall'idea di essere rimpatriata. Un tradimento che non pagò perchè fu rispedita a casa lo stesso. Dillinger, o almeno quello che dicono fosse Dillinger, aveva soltanto 31 anni.
Scavare sotto quella pietra tombale senza lapide, fiori e foto sarà dura: «Quando fu sepolto la paura principale era che qualcuno potesse profanare il cadavere o addirittura rubarlo» ha spiegato la Sutton. Per questo il padre volle blindare la sua tomba come un carcere di massima sicurezza. Ai Dillinger offrirono denaro per prestare il corpo da esibire alle mostre, come una sindone del male. Non erano perciò preoccupazioni campate per aria. La stessa famiglia che ora, chiedendo la riesumazione, vuol vederci chiaro. Perchè la storia sembra diversa da come l'hanno raccontata decenni di letteratura popolare. Forse Ana non lo consegnò veramente ai G-Men, forse a Hoover, anche se è difficile crederlo, convenne far sparire l'uomo, non ucciderlo, scendere a patti con il diavolo per fingere il trionfo della giustizia, per consegnare il gangster alla leggenda, ma sottraendolo a una popolarità scomoda al limite dell'eversione, forse, da lì in poi, la sua fu una vita sotto falso nome, come collaboratore di giustizia, un Buscetta anni Trenta.
HOOVER
Perchè Dillinger non era solo il ladruncolo dei quartieri bassi iniziato al crimine dal furto di una drogheria e diventato il most wanted più famoso del mondo; la primula rossa degli anni più feroci d'America, delle alleanze brutali con Babe face Nelson, e ai regolamenti di conti per strada; l'uomo dei mille capestri che quattro mesi prima di quell'esecuzione davanti al cinema era fuggito dal carcere di Crown Point, nell'Indiana, con una pistola fatta con la mollica di pane e annerita con il lucido da scarpe, rubando l'auto del direttore del carcere e fischiettando
A Little Dream Of Me di Ozzie Nelson. Dillinger era anche un simbolo di riscatto per gli emarginati, un Che Guevara vestito da Rockfeller. Più che ammazzare lui era importante cancellare quello che lui rappresentava.
john dillinger
O forse no, non era Dillinger quello del cinema, ma un sosia, l'uomo sbagliato, un trucco della famiglia nascosto sotto quattro lastre inaccessibili. Lui si era rifatto fare la faccia da un medico bruciato dall'alcool e dalla droga. Diceva: «Prima regola: mai lavorare con persone disperate». Era abituato a calcolare ogni cosa. Forse anche la resa dei conti.