Giulia Merlo per www.editorialedomani.it
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Verona, rischia di essere il vero boccone amaro per Matteo Salvini. La roccaforte leghista in Veneto, infatti, andrà al ballottaggio per la prima volta in vent’anni, per di più con il sindaco uscente di centrodestra, Federico Sboarina, in rincorsa del candidato di centrosinistra, Damiano Tommasi.
L’esito è incerto, ma Sboarina – candidato da poco iscritto a Fratelli d’Italia – spera sul travaso di almeno una parte dei voti di centrodestra sottrattigli da Flavio Tosi, ex sindaco sceriffo che ha lasciato la Lega ed era candidato con il sostegno di alcune liste civiche, di Forza Italia e di Italia Viva. Giorgia Meloni, quindi, può prudentemente sorridere, anche solo perché il suo è diventato il primo partito della città quasi doppiando la Lega.
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Per la Lega, le prossime due settimane saranno difficilissime. Da un lato a mettere i bastoni tra le ruote è Flavio Tosi: l’ex leghista aspirava a candidarsi alla regione Veneto ma è stato espulso dal partito nel 2015 perché in rotta con particolare con Salvini, deciso a ricandidare il governatore uscente Luca Zaia.
LA VENDETTA DI TOSI
Oggi, a sette anni di distanza, Tosi tiene in mano il successo del centrodestra nella sua Verona e lo farà pagare caro: «Vogliamo valutare prima di decidere il da farsi al ballottaggio, aspettando anche quello che diranno i candidati».
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Pur ammettendo che il sostegno a Tommasi è «difficile», Tosi ha sottolineato il silenzio di Sboarina nei suoi confronti. Tradotto: non necessariamente l’ex sindaco – che dalla sua conta un fortissimo sostegno civico che probabilmente ha drenato voti alla Lega – si sposterà su Sboarina, se non in cambio di qualche offerta. Anche perché Tosi ha tra le sue liste quella di Italia Viva, che potrebbe essere più orientata verso Tommasi piuttosto che sul candidato di FdI.
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Salvini, quindi, potrebbe dover masticare amaro e aprire all’ex leghista cacciato pur di permettere la vittoria al centrodestra.
Qui sta la grande incognita su cui il leader leghista si arrovellerà nelle prossime ore. Aprire a Tosi pur di far vincere Sboarina significa, di fatto, umiliare la Lega pur di far vincere in città il candidato di Giorgia Meloni. La decisione non è scontata, soprattutto alla luce della competizione interna nel centrodestra per la leadership e il fatto che FdI è già il primo partito in città.
A parole, Salvini ripete che «dove siamo uniti si vince» e quindi sembrano non esserci dubbi sul fatto che la Lega farà tutto il possibile per portare al risultato Sboarina. Nel dietro le quinte della competizione cittadina, però, il passaggio potrebbe non essere così scontato. Anche perché è sempre possibile la scommessa leghista di andare in cerca degli elettori di Tosi senza scendere a patti con il diretto interessato, sperando che il suo elettorato sia comunque orientato al ballottaggio a sostenere il candidato di centrodestra. Tuttavia, certamente Fratelli d’Italia punterà a chiedere l’accordo con Tosi pur di arrivare più tranquilla al ballottaggio del 26 giugno.
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IL SORPASSO DI MELONI
Pur con tutte le attenuanti della candidatura di Tosi, il sorpasso di Fratelli d’Italia in una città veneta dove lo stesso Luca Zaia si è speso molto in campagna elettorale è un brutto colpo per la Lega.
Nel 2017, FdI aveva sfiorato il 3 per cento mentre cinque anni dopo ha superato l’11 per cento.
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La Lega nel 2017 aveva preso il 9 per cento (pur dovendosela vedere con la lista civica di Tosi che aveva totalizzato il 16,5 per cento), ora invece non è andata oltre il 6 per cento.
Questa crisi, per di più nel Veneto della Liga e nella regione di Zaia, aggiunge ulteriore pressione sulla leadership di Salvini. Anche perché proprio Verona è stata il teatro della riunione scenografica tra Salvini e Meloni, distantissimi anche fisicamente dalla debacle dell’elezione al Quirinale.
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Proprio la reunion sul palco a sostegno di Sboarina sembrava essere il segno di una ritrovata sintonia tra i due leader e magari sufficiente anche a trascinare il candidato al ballottaggio ma come candidato da battere. Invece, l’impegno non ha pagato e anzi, se FdI è cresciuta la Lega ha addirittura perso consensi.
E’ questo forse il segnale tangibile che mancava per sostenere che la vera crisi della Lega si annida nelle regioni del dove è sempre stata storicamente più forte. Il Nord-est, invece, si è scoperto non tanto contrario al centrodestra in sé (la somma dei voti di Tosi e Sboarina a Verona è abbondantemente sopra il 50 per cento) ma molto freddo nei confronti del leader, Salvini.
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Del resto, le settimane che hanno preceduto il voto amministrativo sono state segnate dal pasticcio della trasferta a Mosca, poi annullata ma che ha causato un incidente diplomatico.
Inoltre, anche l’investimento di Salvini in prima persona sul referendum della giustizia non ha trovato risposta nell’elettorato leghista settentrionale. Sempre prendendo Verona come caso di specie, nemmeno lì è stato superato il quorum (ha votato al referendum il 49 per cento dei veronesi) ma addirittura i no hanno vinto sui sì nei quesiti sulla custodia cautelare e la legge Severino, contro l’indicazione di Salvini di votare cinque sì.
Il dilemma di Salvini è difficile da risolvere: scendere a patti con un nemico nella città che gli ha voltato le spalle pur di regalare la vittoria al candidato di Meloni, oppure lasciare che la contesa segua il suo corso locale. In ogni caso, per lui sarà difficile festeggiare la vittoria.
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A preoccupare di più, in ottica di lungo periodo, è però il calo complessivo della Lega nei comuni al voto: in Lombardia il candidato del centrosinistra ha vinto al primo turno a Lodi contro la sindaca uscente leghista; in Veneto la Lega è finita dietro FdI non solo a Verona, ma anche a Padova. Proprio questo risultato è l’avvisaglia che Salvini temeva perché – complici l’esito del referendum e le ultime gaffe comunicative – potrebbe dare il via all’attacco interno del nord alla sua segreteria.