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    FORSE BRUXELLES SI È ACCORTA DELLA STRAPOTENZA CINESE - L'UNIONE EUROPEA PROVA A SFIDARE LA NUOVA VIA DELLA SETA CON 300 MILIARDI TRA IL 2022 E IL 2027 IN CHIAVE ANTI-PECHINO: MERCOLEDÌ VERRÀ PRESENTATO L’EUROPEAN GLOBAL GATEWAY, UN PIANO PER CONTRASTARE L'INFLUENZA DEL DRAGONE NEL MONDO - MA SI PARTE CON UNA SPROPORZIONE NELLE RISORSE STANZIATE…


     
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    Claudio Paudice per www.huffingtonpost.it

     

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    Inizialmente dovevano essere solo una quarantina di miliardi, ora sono saliti a trecento, segno del peso politico e soprattutto economico che si vuole spendere sulla nuova iniziativa.

     

    Come nell’industria dei semiconduttori l’Unione Europea si ritrova a inseguire Cina e Stati Uniti anche in un’altra di quelle che proprio Bruxelles ha definito “sfide globali”: mercoledì la Commissione presenterà l’European Global Gateway, un programma di investimenti infrastrutturali destinato ai Paesi emergenti e in via di sviluppo che si pone in chiara chiave anti-cinese.

     

    ursula von der leyen e charles michel ursula von der leyen e charles michel

    L’EGG, annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione a metà settembre, può tranquillamente essere considerato come l’alternativa europea alla Nuova Via della Seta lanciata da Xi Jinping nel 2013: come scrivono Handelsblatt e Financial Times, che hanno riportato alcuni stralci della bozza del piano, l’obiettivo di Bruxelles è infatti di recuperare almeno parte di quello spazio lasciato vuoto e colmato dall’influenza cinese che si è estesa a macchia d’olio ma con costanza in diversi Paesi in via di sviluppo a reddito medio e medio basso: indo-pacifico, Africa, Oceania, Balcani.

     

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    Pechino da tempo muove decine di miliardi di risorse statali per favorire la nascita di progetti infrastrutturali negli Stati più poveri, assecondando i loro desideri di nuove opere, nuove strade, nuove ferrovie ma esponendoli al tempo stesso, e come si è visto nel corso degli anni, a una crescente dipendenza economica dai finanziamenti cinesi e talvolta alla ormai famosa “trappola del debito”.

     

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    Ora Bruxelles sembra decisa nel correre ai ripari, come già fatto peraltro qualche mese fa dal presidente americano Joe Biden con l’iniziativa analoga denominata Build Back Better World presentata nel corso del G7 di giugno. Il piano Ue prevede di muovere 300 miliardi tra il 2022 e il 2027.

     

    La bozza afferma che è nell’interesse dell’Ue garantire che il Global Gateway si sviluppi “in linea con le norme, gli standard e i valori europei”. Circa 135 miliardi dovrebbero arrivare dal Fondo Europeo per gli investimenti sostenibili plus (ESFS+), mentre altri 25 miliardi saranno messi a disposizione dalla Bei, la Banca europea degli investimenti. Ancora: 18 miliardi verranno attinti dal bilancio per lo sviluppo Ue mentre altri 145 miliardi saranno raccolti da istituzioni finanziarie e di sviluppo.

     

    via della seta via della seta

    Risorse statali e comunitarie, ma l’intento è di attrarre anche molti capitali privati, sulla falsariga di quanto la Commissione ha in progetto di fare nella creazione di una filiera Made in Eu dei semiconduttori, la cui carenza ha mostrato negli ultimi mesi la grave dipendenza del Vecchio Continente dalle forniture asiatiche e tutta la debolezza di alcune filiere cruciali per la manifattura europea - a partire dall’intero comparto dell’automotive che oggi sta praticamente frenando la ripresa dell’economia tedesca post-Covid - che si è accumulata in anni di sottovalutazione politica.

     

    paolo gentiloni con xi jinping al forum per la via della seta 1 paolo gentiloni con xi jinping al forum per la via della seta 1

    Al di là dei principi di solidarietà con cui Bruxelles si appresta a ‘vestire’ la sua iniziativa, ci sono in gioco interessi di natura geopolitica. Come riporta il quotidiano finanziario tedesco “la Commissione chiarisce che Global Gateway è uno strumento di autoaffermazione geopolitica dell’Ue ed è stato concepito nell’ottica della rivalità con i sistemi autoritari: ‘Le democrazie e i forti valori che le sostengono devono essere una risposta alle sfide globali di oggi’”, scrive la Commissione.

     

    Contrastare l’espansionismo cinese nell’indo-pacifico, così come nei Balcani orientali e in molti Paesi dell’Africa, è diventato un’urgenza per il blocco occidentale. Tuttavia le premesse al momento non paiono giocare a favore dell’Unione Europea.

    CINA - LA NUOVA VIA DELLA SETA CINA - LA NUOVA VIA DELLA SETA

     

    Prima di tutto per un evidente divario nelle risorse messe a disposizione. Il programma lanciato da Xi Jinping nel lontano 2013 prevedeva una spesa di circa mille miliardi, cifra largamente superiore ai trecento miliardi che Bruxelles solo ora si accinge a mettere sul piatto.

     

    Pechino ogni anno investe circa 85 miliardi per lo sviluppo internazionale. “La Cina è andata in giro per il mondo, avendo un sacco di soldi a portata di mano e la volontà di spenderli, promettendo ai vari paesi: ‘Ti costruiremo una ferrovia. Ti costruiremo una centrale elettrica.

     

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    Ti costruiremo una rete di transito o una rete energetica’”, ha spiegato a Marketplace.org Adam Posen, presidente del Peterson Institute for International Economics. Il tipo di credito per realizzare quei progetti è stato spesso criticato per la sua mancanza di trasparenza e rispetto per le questioni sociali e ambientali.

     

    Secondo uno studio condotto da AidData, un laboratorio sullo sviluppo internazionale con sede presso il College of William & Mary in Virginia, la nuova Via della Seta ufficializzata nel 2013 dal presidente Xi Jinping, ha fatto sì che dozzine di Paesi a reddito medio e basso accumulassero 385 miliardi di “debiti nascosti” verso la Cina.

     

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    L’analisi si è basata su 13.427 progetti di sviluppo cinesi per un valore complessivo di 843 miliardi di dollari in 165 Paesi, in un periodo di 18 anni fino alla fine del 2017.

     

    “Durante l’era pre-BRI, la maggior parte dei prestiti cinesi all’estero era diretta a mutuatari sovrani (cioè istituzioni del governo centrale)”, hanno sottolineato i ricercatori. Tuttavia, col tempo l’approccio cinese è mutato: quasi il 70% dei prestiti cinesi all’estero è ora diretto a società statali, banche statali, società veicolo, joint venture e istituzioni del settore privato.

     

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    “Questi debiti spesso non compaiono nei bilanci dei governi dei Paesi, ma molti sono garantiti dai loro governi, diluendo i confini tra debito privato e pubblico”. Il rapporto ha chiarito che 42 Paesi hanno un’esposizione del debito pubblico verso la Cina che supera il 10% del loro Pil.

     

    La Nuova Via della Seta non è solo un piano di investimenti infrastrutturali ma è innanzitutto, secondo gli analisti, una chiara strategia geoeconomica per lo sviluppo delle proprie rotte commerciali tra Est e Ovest e per incrementare la sua influenza politica nei Paesi meritevoli dell’interesse del dragone. Investe 138 Paesi, tra cui figurano anche Stati membri dell’Ue.

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    Il caso emblematico è la Grecia, “la testa del drago in Europa”, dove Pechino è entrato senza guanti rilevando l’intera Autorità Portuale del Pireo, primo porto greco invidiabile per la sua posizione nel Mediterraneo, attraverso il suo colosso statale della navigazione Cosco. Cosco, come altre Soe (state-owned enterprises), risponde per vie traverse ma direttamente al Partito Comunista Cinese.

     

    L’esperienza greca non ha nulla a che vedere con i tentativi, poi risolti in nulla, di stipulare memorandum di natura commerciale con i porti di Genova e Trieste due anni fa, e che comunque rappresentano un ulteriore tassello nel variegato disegno della Repubblica Popolare.

     

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    “Considerando la Nuova Via della Seta come un astuto tentativo di Pechino di sfruttare la potenza economica per scopi strategici”, rileva il think tank tedesco Merics specializzato nell’analisi sulla Cina, “l’Ue sta cercando di fare qualcosa di molto simile, per ridisegnare la sua strategia di connettività e per adattarla a quella che von der Leyen definisce ‘la nuova era dell’iper-competitività’”.

     

    Merics riporta anche i pareri dei critici secondo cui la Bri (Belt and Road Iniziative) targata Pechino promuove progetti commercialmente impraticabili che mirano a creare dipendenze, alimentano corruzione, danni ambientali e violazioni dei diritti umani. D’altro canto, la Via della Seta si inserisce “in gran parte di iniziative locali” dei Paesi in via di sviluppo “che stavano già vacillando fino a quando non hanno trovato finanziamenti cinesi” arrivati in soccorso.

     

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    Proprio per differenziarsi dall’approccio di Pechino, quello di Bruxelles sarà incentrato sul rispetto dei diritti e dei valori dell’Ue. Ma questa differenza, secondo Merics, rischia di minare in partenza la capacità europea di competere ad armi pari con la Via della Seta: “La Bri ha funzionato con metodi mercantilistici come l’uso di prestiti legati a contratti con società cinesi. Per l’Ue sarà arduo raccogliere questa sfida rimanendo fedele ai principi del libero mercato”.

     

    Anche perché le imprese europee che hanno provato ad avvicinarsi alla Nuova Via della Seta nella speranza di ricavarci valide occasioni di business si sono in larga parte scottate. In un rapporto della Camera di Commercio dell’Unione europea in Cina, la voce delle imprese Ue, si evidenzia “il ruolo marginale svolto dalle imprese europee nella BRI (via della Seta), nonché gli effetti di riduzione della concorrenza che il programma guidato da Pechino sta avendo sulle imprese in tutto il mondo”.

     

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    Nel rapporto si definiscono come “briciole” le opportunità date dalle autorità cinese alle concorrenti Ue, incapaci di farsi spazio nel mercato protetto dalle imprese pubbliche cinesi: “La concorrenza globale viene seriamente attenuata dalle imprese statali verticalmente integrate della Cina, che sono in grado di fornire tutto, dal finanziamento ai materiali e ai servizi di costruzione e non solo. Sono in gran parte queste società statali ad aggiudicarsi contratti BRI, molti dei quali sono campioni nazionali emersi nel mercato fortemente protetto della Cina, che ha permesso loro di raggiungere economie di scala”.

     

    Talvolta tuttavia i prestiti cinesi hanno generato quella che ormai è nota come la “trappola del debito”. Trappola che scaturisce dalla stipula di contratti per lo sviluppo di infrastrutture come ponti, strade e ferrovie, chiaramente sbilanciati a tutela delle imprese e degli istituti finanziari di Pechino coinvolti nella costruzione, spesso con la sottovalutazione o persino l’assenso dei politici e dei decisori locali.

     

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    Un caso scuola è il prestito concesso dalla China Exim Bank (Import-Export Bank) al Montenegro per la costruzione dell’autostrada Bar-Boljare, per un costo di un miliardo di dollari e coperto per oltre i due terzi da finanziamenti cinesi. Una cifra spropositata per un Paese che ha un Pil di cinque miliardi. Pochi mesi fa il Governo montenegrino è andato in difficoltà per il debito contratto per l’autostrada (da fare ovviamente con imprese e manodopera cinesi) rivelatasi tra le più costose al mondo.

     

    E per il suo rimborso Podgorica ha chiesto aiuto alla Ue. Bruxelles tuttavia ha fatto sapere di non essere disposta a ripagare i prestiti del Montenegro o altri Paesi dei Balcani. Quando un debito non viene saldato, l’infrastruttura, benchè strategica, rischia di passare nelle mani cinesi: lo sa bene lo Sri Lanka, dove il porto internazionale di Hambantota riveste importanza nazionale e non solo.

     

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    Nel 2017, il governo non è più stato in grado di rimborsare il prestito cinese e il porto è stato dato in locazione per 99 anni alla China Merchants Port Holdings, dietro pagamento di 1,12 miliardi di dollari. Come ha ricordato in uno studio la Corte dei Conti Ue, gli investimenti cinesi se non ripagati possono favorire il ruolo di Pechino nella gestione dei debiti pubblici con conseguenti perdite di garanzie strategiche, come già avvenuto nei Paesi extra-Ue come Pakistan, Tagikistan, Kirghizistan, Sri Lanka, Maldive. Nel caso del Montenegro il debito contratto con la Exim Bank rappresenta un quarto dell’intero debito pubblico dello Stato.

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    Il piano europeo mira quindi a contrastare l’egemonia che lentamente ma costantemente Pechino sta allungando sui Paesi in via di sviluppo, dall’Africa all’indo-pacifico, dall’Oceania all’America latina fino ai Balcani.

     

    E fa il paio con un’altra iniziativa, questa volta diretta ai confini interni dell’Ue, adottata a maggio scorso dalla Commissione: uno scudo anti-scalate a tutela delle imprese europee che troppo spesso sono state facili prede dei competitor cinesi lautamente sostenuti dal credito statale di Pechino.

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