Marcello Zacché per "il Giornale"
MICROCHIP EUROPA
«Presenteremo un nuovo European Chips Act» sui semiconduttori per mettere fine alla «dipendenza dalla capacità di produzione dell'Asia» che pone «un problema di sovranità tecnologica». La presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, nel suo discorso sullo stato dell'Unione all'Europarlamento, ha toccato uno dei temi più caldi al centro della ripresa economica nell'era post Covid.
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La recessione innescata all'inizio del 2020 dalla pandemia ha stravolto tante certezze sui cicli dell'economia. Una di queste riguardava il fatto che, a fronte di uno choc dagli effetti pari solo a quelli di un conflitto mondiale, sarebbe seguito un rimbalzo positivo uguale e contrario. Come se il lockdown globale avesse ibernato un sistema economico, pronto a ripartire e tornare in fretta ai livelli precedenti.
Era l'attesa di quella ormai nota ripresa a «V» che si aspettavano molti economisti. Peccato che esistono sempre gli effetti collaterali. E questi hanno stravolto ogni previsione. Per farla breve, la forza di una ripresa economica innescata dalla decompressione dell'offerta globale, e la sua contemporanea esplosione della domanda, anch' essa planetaria, hanno creato dei colli di bottiglia.
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Vale a dire dei passaggi nelle catene di produzione e distribuzione che si sono intasati, generando fenomeni di vario tipo: dall'esplosione dei prezzi delle materie prime, all'inflazione. Dentro a questo complesso meccanismo è saltata fuori la crisi dei semiconduttori, detti anche microchip, quei minuscoli oggetti che permettono a ogni circuito elettronico di funzionare. Ebbene, così come l'Europa intera ha scoperto di non avere fabbriche di mascherine quando è scoppiata la pandemia, così lo stesso continente si è accorto di non avere nemmeno i microchip.
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Il che rallenta tanti tipi di produzione e minaccia diversi mercati. «I semiconduttori - ha ricordato von der Leyen- sono quei i piccoli chip che permettono a tutto di funzionare, dagli smartphone agli scooter elettrici, dai treni a interi stabilimenti smart. Non c'è digitale senza quei chip» ma «a causa della loro carenza la produzione sta rallentando nonostante l'aumento della domanda globale». E si è dimenticata di citare l'industria delle quattro ruote, in difficoltà (da Volkswagen a Stellantis, a Renault) per lo stesso motivo.
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L'idea è quella di preparare il terreno per una fabbrica europea di microchip che renda l'Unione europea indipendente dagli altri. Un discorso che assume un valore politico più ampio. Perché, come ha detto il ministro francese dell'Economia Bruno Le Maire al Workshop Ambrosetti di Cernobbio di inizio settembre, «non serve avere indipendenza politica, se poi dipendiamo da altri Paesi sulla tecnologia».
Ed è questo il concetto che oggi fa suo la presidente von der Leyen: l'investimento in tecnologia come strada per dare alla Ue quel peso geopolitico che le permetta di stare sullo stesso piano degli altri blocchi geopolitici che questo peso già esercitano.
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Lo stesso Le Maire - ministro supereuropeista di Macron - ha già indicato anche il percorso, e cioè la collaborazione tra i tre Paesi che fanno la forza economica della Ue in termini di ricerca, risorse, manifattura, tecnologia: Francia-Italia-Germania. Le fabbriche per fare grande l'Unione del post-Covid dovranno nascere dal triangolo d'Europa.
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