Dafne Roat per il “Corriere della Sera”
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«Ho preso il martello e l'ho colpita. Ho ucciso e sono pronto a morire per quello che ho fatto». Parla solo inglese Suleiman Adams, nonostante sia in Italia da qualche anno. Sono le 22.25 circa quando il pastore ghanese di 32 anni entra nella stazione dei carabinieri di Pergine Valsugana e confessa.
Sono trascorse più di 14 ore dall'agghiacciante delitto, da quando, martedì mattina, ha afferrato il martello appoggiato a un termosifone e ha colpito a morte Agitu Ideo Gudeta, l'imprenditrice etiope, 43 anni domani, conosciuta e stimata in tutto il Trentino, una donna coraggiosa e forte, titolare dell'azienda agricola «La capra felice», da lei fondata in valle dei Mocheni.
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La donna è stata uccisa nella camera da letto del suo appartamento al secondo piano dell'ex canonica nel Comune di Frassilongo. È stata trovata ai piedi del letto, supina, con i pantaloni sfilati, dai vicini di casa, preoccupati della sua prolungata assenza.
«Abbiamo pensato che stesse male visto il periodo del Covid e siamo saliti urlando il suo nome, ma non abbiamo avuto risposta - racconta Maura Menzietti, abbassando lentamente il tono di voce -. Siccome la porta era socchiusa siamo entrati e abbiamo visto l'albero di Natale, poi Alberto ha preso il telefonino e con la pila ha illuminato la stanza. Si è girato verso di me, facendomi segno che era morta».
Cinque, sei colpi alla testa, come conferma un primo esame effettuato sulla salma ieri pomeriggio, hanno ucciso Agitu. Suleiman, arrestato nella notte per omicidio volontario, non tenta di giustificarsi, davanti ai carabinieri racconta l'agghiacciante verità, quei minuti terribili all'interno della casa. Il peso del terribile gesto e la consapevolezza di non poter più tornare indietro.
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«Mi volevo uccidere per quello che ho fatto, ma non ho trovato il veleno con cui volevo suicidarmi. In questo momento preferirei morire», spiega ai militari che lo hanno sentito. Un racconto dettagliato, scioccante, che il pastore ghanese ha ripetuto anche davanti al sostituto procuratore Giovanni Benelli. Seduto accanto all'interprete e al suo avvocato, Fulvio Carlin, il giovane continua a parlare.
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Racconta minuto per minuto la tragica mattinata iniziata con un caffè che si stava preparando nella cucina della casa di Agitu. E poi quel cruccio che lo tormentava da tempo: uno stipendio arretrato che l'allevatrice di origine etiope non gli avrebbe pagato. Aveva bisogno dei soldi per i suoi due figli in Ghana.
È bastato questo a scatenare la furia omicida. Prima di allora, come confermano i vicini di casa, non c'erano mai stati litigi. L'uomo, arrivato in Italia, a Lampedusa, a bordo di uno dei tanti barconi della speranza lungo la rotta dall'Africa all'Europa, aveva già lavorato per l'allevatrice, poi circa due mesi fa era stato richiamato, ma mancava uno stipendio. Gli arretrati non pagati, forse mille euro o meno, e secondo il racconto del pastore, più volte sollecitati.
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«Da tempo avevo chiesto i soldi che mi doveva per il lavoro svolto - sostiene - ma lei ha sempre rifiutato di darmeli». L'uomo parla di messaggi, telefonate assidue. Martedì mattina il pastore, che vive in una stanza al piano terra, sotto all'appartamento che occupava Agitu, è salito nella casa della donna, di cui aveva le chiavi, per prepararsi il caffè. Sono le 7.30. La vede e chiede di nuovo i soldi. «Come sempre lei è scappata in camera da letto», dice. Non si incontravano spesso perché facevano orari diversi e gran parte della giornata Suleiman la trascorreva nella stalla con le sue capre, la stessa in cui è stato trovato dai carabinieri.
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Dopo la tazza di caffè, bevuta in fretta, l'uomo era tornato nella sua stanza per prendere gli abiti sporchi e fare una lavatrice. Così è salito al piano di sopra una seconda volta, ha visto Agitu e ha chiesto di nuovo i soldi. Poi è montata la rabbia e ha preso il martello, poi gettato in cantina insieme al giubbotto sporco di sangue. Il pastore nel cuore della notte ha confessato anche di aver compiuto un gesto di autoerotismo, che dice di non riuscire a spiegare. Per i carabinieri si tratterebbe di un atto di spregio, per umiliare la donna.
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