Nicolo Zancan per “La Stampa”
massimo vita
Vent' anni nella stanza dei pazienti che non guariranno mai. Vent' anni da marito, vent' anni da padre. Massimo Vita, 57 anni, un tempo tecnico informatico, sbatteva le palpebre per dire sì e restava immobile per dire no. Riconosceva il profumo di sua moglie e le feste del cane Tiffany. A tutti pareva che sorridesse con gioia quando gli facevano ascoltare le canzoni dei New Trolls. «Sorrideva davvero, sorrideva tanto.
Sono venuta a raccontargli ogni novità e ogni progresso scolastico di nostro figlio Andrea per tutti questi anni. Abbiamo passato insieme ogni Natale, ogni compleanno. Abbiamo superato anche la pandemia, quando per tre mesi ci siamo potuti fare solo delle video chiamate in cui io continuavo a fargli i nostri racconti. Ero con lui anche domenica mattina, a mezzogiorno e un quarto, quando ha smesso di respirare. Questo è stato il nostro viaggio, molto lungo e difficile. Ma è stato anche gratificante.
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Non ho mai avuto dubbi sul fatto che fosse giusto farlo e sono felice di averlo accompagnato nella sua grande forza per stare attaccato alla vita. Anche se, subito dopo l'incidente, i medici ci avevano detto senza mezzi termini che non ci sarebbero stati progressi. Massimo sarebbe rimasto in stato vegetativo irreversibile. Con una prospettiva di quindici anni al massimo». Era il 7 novembre del 2001. Sembrava un giorno ordinario. L'ultimo giorno dell'esistenza di prima. «Andrea aveva 3 anni, era un po' malato. Mio marito era tornato a casa per pranzare con noi, verso le due del pomeriggio è salito in auto per andare ancora al lavoro. L'incidente è stato tremendo. Quando ci hanno chiamato dall'ospedale era in rianimazione».
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Monica Pinton e Massimo Vita si erano conosciuti in coda alla gelateria De Marchi, erano andati a ballare insieme alla discoteca di Ponte di Brenta. Lei aveva 19 anni, lui 22. Hanno fatto il ricevimento di matrimonio al castello di Stigliano. «Era un ragazzo dolcissimo, educato, molto bello, altrimenti non mi sarei mai innamorata di lui». Quattro anni insieme con le parole, altri ventitré anni insieme con i silenzi.
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«Ma lui parlava anche senza voce, Massimo riconosceva il rumore delle mie sneakers sul pavimento della stanza. All'inizio medici e infermieri non credevano a queste cose, ma poi tutti si sono accorti del suo fortissimo legame con la vita». Eccola, è la stanza nella struttura specializzata «Anni Sereni» di Scorzè, in provincia di Venezia. Nessun paziente ha mai abitato tanto a lungo questo luogo. «Nonostante la condizione di Massimo fosse molto compromessa, lui riusciva a essere di un'espressività incredibile», ricorda la coordinatrice sanitaria Elisabetta Cazzin. «Respirava spontaneamente, ma la nutrizione era artificiale.
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Aveva un supporto come reggi capo. Sulla parete, dalla parte della postura lateralizzata, avevamo attaccato una grande foto della festa di matrimonio. Massimo Vita era immobilizzato in stato vegetativo, ma rideva quando sentiva i cartoni animati e la musica faceva emergere quello stato di coscienza impalpabile. In questi casi non sai mai dove possano arrivare i tuoi tentativi, fino a che punto arrivino le parole.
Ma Massimo ce la metteva tutta, ci seguiva con gli occhi, era sorridente. Quello che ho capito è che queste persone hanno diritto di essere assistite, non dobbiamo mai lasciarle sole. Con Massimo Vita abbiamo perso un nostro fratello». L'ultima settimana è stata la più difficile di questi vent' anni. Sono stati interpellati il comitato etico e la direzione dell'ospedale di Vicenza. Era diventato impossibile alimentarlo.
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«Giovedì era ancora cosciente, apriva gli occhi», racconta la moglie Monica Pinton. «Venerdì si è aggravato. Sabato abbiamo passato tutta la giornata insieme. Domenica mattina eravamo in auto lungo la strada, quando un'infermiera ci ha telefonato per dire che restava poco tempo. Ma siamo arrivati subito. A mezzogiorno e un quarto ho mandato giù mio figlio con la scusa di un caffè, non volevo che vedesse.
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Poi ho detto: "Vai tranquillo, amore, io sono qui. Adesso andrai in un posto migliore, dove potrai essere felice e correre tanto. Lui ha fatto l'ultimo respiro e se n'è andato». Ieri Andrea Vita, che adesso ha 23 anni e assomiglia come una goccia d'acqua a suo padre, è andato a prendere la fotografia appesa al muro della stanza: la festa di matrimonio. La porterà a Milano, dove il 23 settembre conseguirà la laurea in Comunicazione e Moda. «Mio padre con la sua forza è stato un esempio. Tutto quello che so l'ho imparato da lui». Oggi, alle quattro di pomeriggio, nella chiesa di San Marco a Ponte di Brenta, si terranno i funerali di Massimo Vita, l'uomo che ha vissuto vent' anni ballando con gli occhi. - Ha collaborato Giusy Andreoli
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