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    L’UOVO DI COLOMBO (JOE) – IN UN LIBRO-CATALOGO LA CAPACITA’ DI PRECORRERE I TEMPI DEL GENIALE DESIGNER - NEGLI ANNI SESSANTA, IN OCCASIONE DI UN VIAGGIO IN AMERICA CON GAE AULENTI, JOE LE DICEVA CHE "PRESTO AVREMMO VISSUTO TUTTI PORTANDO CON NOI IL TELEFONO IN TASCA, E CHE IL FUTURO DEL LAVORO SI SAREBBE REALIZZATO NELLE PROPRIE ABITAZIONI. INSOMMA, TUTTE VISIONI CHE POI SI SONO DAVVERO REALIZZATE. MA GAE AULENTI LO GUARDAVA COME SE FOSSE UN PAZZO"


     
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    Silvana Annicchiarico per "la Repubblica"

     

    joe colombo joe colombo

    Il design, per lui, era prima di tutto "immaginazione del possibile". O prefigurazione del futuro. Scomparso giovanissimo, a soli 40 anni, esattamente mezzo secolo fa (nel 1971), già negli anni Sessanta Joe Colombo intuiva nitidamente le mutazioni che lo sviluppo tecnologico avrebbe prodotto sulla nostra vita quotidiana.

     

    Lo ricorda bene Ignazia Favata, che al designer lombardo ha appena dedicato un bel libro, con una sistemazione e una catalogazione organica di tutta la sua prolifica produzione ( Joe Colombo, Designer. Catalogo ragionato 1962-2020 , Silvana Editoriale):

     

    «Ricordo - racconta Ignazia - che negli anni Sessanta, in occasione di un viaggio in America con Gae Aulenti, Joe le diceva che presto avremmo vissuto tutti portando con noi il telefono in tasca, e che il futuro del lavoro si sarebbe realizzato nelle proprie abitazioni. Insomma, tutte visioni che poi si sono davvero realizzate. Ma Gae Aulenti lo guardava come se fosse un pazzo».

     

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    Figlio della pop art e della cultura della plastica, influenzato in modo non superficiale dalle suggestioni futuristiche della science-fiction degli anni '60, Joe Colombo - che amava autodefinirsi "creatore dell' ambiente futuro" - incarna l' aspetto più prometeico e tecnologico del design italiano: come Pininfarina e Zanuso, si misura in prima linea con le innovazioni della tecnologia e con la civiltà delle macchine, ma raccoglie e fa propria la loro sfida con un tratto di inconfondibile e peculiare visionarietà.

     

    Pensiamo anche solo al monoblocco su rotelle Mini-Kitchen , ideato per Boffi nel 1963, nel momento apicale del boom economico, come un robot domestico su ruote, al tempo stesso avveniristico, futuristico e utopico.

     

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    Con Joe Colombo, insomma, prende corpo al massimo livello la vocazione intrinseca della cultura del design a farsi esploratrice del nuovo e del possibile, a prefigurare scenari non ancora affermati, ad anticipare bisogni e desideri ancora in via di formazione.

     

    Dice ancora Ignazia Favata: «Joe era molto più giovane rispetto alla generazione dei cosiddetti maestri e - bisogna riconoscerlo - non era ben visto da molti colleghi, che lo consideravano un intruso, uno decisamente fuori dai canoni».

     

    Scritto durante il lockdown, il libro ha richiesto un anno di lavoro.

     

    joe colombo joe colombo

    Ignazia vi ripercorre le tappe di una vita e di una carriera e cura in modo particolarmente attento il regesto delle opere:

     

    «Nel corpus complessivo del volume - ci dice - il regesto occupa un posto di rilievo perché sono raccontate tutte le opere di Colombo che sono andate in produzione o che almeno hanno avuto una prima idea di prototipo. Mancano solo le opere inedite, quelle in embrione, quelle che non hanno avuto luce».

    joe colombo cover joe colombo cover

     

    A rivederli oggi, gli oggetti e gli artefatti di Joe Colombo lasciano spesso senza parole per la lungimiranza e la visionarietà che li anima. Che si tratti di sedie, di lampade o di visioni futuristiche di città, c' è in lui una capacità di precorrere i tempi davvero non comune. E c' è, soprattutto, un talento assoluto nel dare forma alle idee, o nel tradurre in immagini i pensieri. «Joe - ci dice ancora Ignazia - parlava per immagini, ha perfino disegnato i dolori che provava al petto, proprio poco prima di mancare. Disegnava qualunque cosa. Era duttile, flessibile, capace di modificare in corsa i progetti, capace di cogliere i desideri dei committenti allo stato embrionale e di svilupparli in una visione coerentemente spregiudicata».

     

    gae aulenti gae aulenti

    Troppo, per i canoni estetici degli anni Sessanta? Forse sì. Tanto che Joe Colombo amava connotare le sue performances nel campo del design con la denominazione al tempo stesso beffarda e provocatoria di antidesign.

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