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    LA CANNES DEI GIUSTI - CERTO CI VUOLE UN BEL CORAGGIO A PRESENTARE COME FILM D’APERTURA, IN UN’EDIZIONE CHE DOVREBBE DARE NUOVO LUSTRO ALLA FRANCIA DOPO UN INIZIO 2023 DAI COSÌ FORTI INCASSI, IL POMPOSO POLPETTONE SENZA SUGO “JEANNE DU BARRY” - IL FILM È QUANTO DI PIÙ LONTANO POSSA ESSERCI DAL CINEMA FRANCESE DEI GRANDI MAESTRI. UNO DEI PEGGIORI FILM D’APERTURA CHE SI SIANO VISTI A CANNES. EPPURE ERAVAMO PARTITI BENE GRAZIE AL SOFISTICATO “L’AMOUR FOU”, GIRATO NEL 1969 DA JACQUES RIVETTE… - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    johnny depp re luigi xv jeanne du barry johnny depp re luigi xv jeanne du barry

    “Grottesco!” – “No, è Versailles!”. Certo ci vuole un bel coraggio da parte di Thierry Fremaux, il delegato generale del Festival di Cannes, a mettere assieme, come film d’apertura, in un’edizione che dovrebbe dare nuovo lustro alla Francia dopo un inizio 2023 dai così forti incassi, il pomposo polpettone senza sugo targato LaPacte diretto da Maïwenn  “Jeanne Du Barry” con la stessa Maïwenn nel ruolo della Du Barry e il gonfio Johnny Depp come Luigi XV, attualmente il bersaglio preferito di maschio violento odiato dalla più agguerriti femministe francesi,

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     e il sofisticato, colto, modernissimo “L’amour fou”, girato nel 1969 da Jacques Rivette, che lo scrisse assieme alla moglie, l’italiana Marilù Parolini, che nello stesso anno scrisse anche con Bertolucci “La strategia del ragno” e che vede protagonisti Jean-Pierre Kalfon e Bulle Ogier, presenti alla sala Debussy e molto applauditi, anche se non salutati coi sette minuti di ovazioni riparatrici che hanno accolto Johnny Depp al Theatre Lumière.

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    Proprio un altro mondo. Mi spiace. Ridateci subito Rossellini e il suo gelido ma altissimo “La presa di potere di Luigi XIV”. Visto al di fuori della parata di star sul red carpet, “Jeanne Du Barry" è quanto di più lontano possa esserci dal cinema francese dei grandi maestri. E’ solo un’altra di queste trombonate alla "Asterix" o "I tre moschettieri", costosissime ma del tutto prive di costruzione narrativa e di fascino, con due attori che girano a vuoto e non si incontrano mai,

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    lei, a metà tra Tiziana Rocca e Milly Carlucci, una Du Barry indefinibile, senza identità, quando pensavamo alla scoppiettante Lucille Ball di “DuBarry Was a Lady”, il musical con Gene Kelly del 1943, lui fa qualche faccetta, ma oltre a roteare gli occhi e a riempirsi di bolle del vaiolo che lo porteranno all’altro mondo non fa nulla, sembra imbalsamato, pronto per il museo delle cere di Madame Tussauds.

     

    johnny depp jeanne du barry johnny depp jeanne du barry

    Se il pubblico ancora lo ama, i critici non amano il film. “Un egotrip imbarazzante”, scrive Les Inrock, “Più frustante che sbagliato”, scrive Indiewire, “rischia di trasformare un possibile scandalo in una noia regale”, scrive Variety”. Ecco, si muore di noia. Gran parte del cast, Melvil Poupaud, Pierre Richard, Pascal Greggory, Noemie Lvovsky, è sprecato. Uno dei peggiori film d’apertura che si siano visti a Cannes, oltre che di fatto il peggior film di Maïwenn. Eppure eravamo partiti bene nel pomeriggio, grazie a “L’amour fou” di Rivette, leggerissimo benché fosse film lungo quattro ore, cosa, per il tempo, come ha detto Bulle Ogier sul palco, assolutamente folle, perché il pubblico non era abituato a quelle durate, come oggi.

    L’amour fou. L’amour fou.

    Un film sul teatro, la vita, l’amore, la gelosia, e il continuo passaggio tra vita sulla scena e vita reale, girato in bianco e nero da Alain Levant in 35 mm, mentre una troupe riprende il tutto in 16mm, e dove le situazioni dell’opera le ritroviamo tra i personaggi della storia. Infatti Sebastien, Jean-Pierre Kalfon, un giovane e bel regista molto macho, sta mettendo in scena, ripreso dalle telecamere di una troupe, un’edizione dell’”Andromaca” di Racine, dove la sua stessa donna, la Claire di Bulle Ogier, ha il ruolo della protagonista, mentre lui si prende quello di Pirro.

    L’amour fou. L’amour fou.

     

    Cosa insolita per un regista, perché Pirro è anche il personaggio chiave dell’opera, secondo Roland Barthes, lo spiega un dotto collaboratore al regista, lui stesso come un regista perché alimenta la rivalità tra Andromaca e Hermione. Non solo. Quando Claire litiga con Sebastien e lascia le prove, lasciando quindi anche il suo uomo, viene chiamata come sua sostituzione addirittura la bella ex-moglie di Sebastien, Célia.

     

    L’amour fou. L’amour fou.

    E da regista, maschio, prepotente, Sebastien ci ricasca con Célia. In tutto questo Claire finge un suicidio per riprendersi il suo uomo e non la smette di recitare Andromaca a casa sua, mentre Célia lo fa sul palco davanti a Sebastien. Un capolavoro, scritto e girato benissimo, di grande costruzione letteraria, ma anche molto divertente, una delizia che i giovani che vogliono fare cinema dovrebbero assolutamente vedere. 

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