Cannes/Le jeune Ahmed
Marco Giusti per Dagospia
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Un gelo tra imbarazzo e sorpresa ha salutato la fine dell’attesissimo Le jeune Ahmed dei fratelli Dardenne, dedicato al mistero che avvolge le scelte dei giovanissimi musulmani francofoni di seconda generazione, in questo caso siamo in Belgio. Un imbarazzo, leggo sui primi twitter, che si trasformerà facilmente in accuse verso i Dardenne, rei di fare un film per “umiliare i musulmani”, di “mostrare come pericoloso terrorista chi va in moschea e fa le sue cinque preghiere”.
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Nel film, estremamente realistico, il ragazzino tredicenne Ahmed, Idir Ben Addi, bravo a scuola e fino a un mese prima pazzo dei videogiochi come i ragazzi di tutto il mondo, sogna di diventare un combattente, un jihadista. Non stringe la mano alle donne e non se la fa leccare dai cani, impuri, passa gran parte del suo tempo fra abluzioni e preghiere, venera come un martire il cugino morto in missione col mitra stretto fra le braccia, orfano di padre, si scontra costantemente con la madre, Claire Bodson, che definisce ubriacona perché beve qualche bicchiere e non si copre, si scontra con la sorella, del tutto integrata, ascolta solo un imam alquanto pericoloso.
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Cerca di convincere alla fede anche il fratello rachid, meno interessato. E finisce per cercare di uccidere con un coltello da cucina la sua maestra Ines, Myriam Akheddiou, buona e simpatica, rea di aver messo in piedi dei corsi di arabo moderno. Ovvio che finisce in riformatorio. Lì, aspettandosi il peggio, scopre che sono tutti gentili, come la pacchia di Salvini, c’è perfino una ragazzetta bionda, Victoria Bluck, che si innamora di lui, pronta a baciarlo. Ma lui sta cambiando o no? Comincia a capire davvero i suoi errori?
i fratelli dardenne
Le jeune Ahmed, che dividerà molto probabilmente il pubblico e molto farà parlare, non vuole essere un film consolatorio o con morale, soprattutto cattolica. Anche se a noi, spettatori e padri, ci verrebbe la voglia di menare questo ragazzetto insopportabile, i Dardenne si limitano a seguirlo, a inquadrarlo sempre con gli occhi abbassati e nascosti dagli occhiali, i capelli ricci. Non prendono una posizione.
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Il loro è un film che non vuole né giustificare, né capire. Rossellininiamente inquadra il suo protagonista alla Europa 51. Con la distanza della cinepresa. Tutto questo ci disturba, ci preoccupa, ma chi ha detto che il cinema deve rispondere ai problemi della realtà con delle affermazioni di sicurezza? Ovviamente non è un film innovativo, ma, esattamente come quelli di Pedro Almodovar e di Ken Loach, è quello che aspettiamo di vedere da registi di quel livello. Come struttura e messa in scena è perfetto. Il ragazzino che interpreta Ahmed assolutamente credibile.
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Moltissimi applausi, proprio da spellarsi le mani, e occhi lucidi a Un Certain Regard, per il marocchino Adam. Opera prima di Maryam Touzani, commovente, benissimo fotografata da Virginie Surdej e interpretata da due attrici di rara intensità, Lubna Azabal e Nisrine Erradi. Ovviamente è un altro film tutto al femminile che esclude quasi completamente la presenza maschile. Quasi, perché l’Adam del titolo sarà il nome del bambino maschio che sta per partorire una delle protagoniste, Samia, Nisrine Erradi.
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Siamo nella Medina di Casablanca e Samia, incinta, senza un lavoro e senza una casa, cerca di farsi ospitare da qualche anima pia. La ospiterà un’altra donna, la vedova Abla, Lubna Azabal, che vive con la figlioletta Werba in una casa-bottega dove sforna pane e dolcetti. Samia si offre di aiutarla, ma i primi rapporti non sono buoni. Le due donne, invece, presto si capiranno e metteranno in scena le loro sofferenze e la loro voglia di superarle. Abla dovrà superare il trauma della perdita del marito e Samia la vergogna di un figlio senza padre. La sua idea è infatti quella di partorirlo, darlo in affidamento e tornare al paese da dove è venuta. Tutto il film è giocato sul rapporto fra le due donne, sull’idea di maternità e su una serie di dolcetti che le due preparano.
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