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    LA CANNES DEI GIUSTI – MORTACCI CHE STRONCATURE PER “TRE PIANI” DI NANNI MORETTI PRESENTATO IN CONTEMPORANEA ALLA FINALE DEGLI EUROPEI IERI IN UNA CANNES ORMAI IN PIENA CRISI PER IL COVID (SECONDO “LIBERATION” IL FESTIVAL CHIUDE PRIMA) – SECONDO THE HOLLYWOOD REPORTER IL FILM DI MORETTI E’ "UN’OPERA MINORE, UN CINEMA CHE PIACE SOLO AGLI EUROPEI". GUY LODGE SU “VARIETY” NON TROVA IN QUESTO “PIATTO, FALSO SFORZO COSTRUITO A PIÙ LIVELLI” NEANCHE IL TIPICO SENSE OF HUMOUR DEL REGISTA - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Mortacci che stroncature! L’Italia ha vinto con l’Inghilterra a Wembley, ma non è che le critiche, soprattutto americane, siano così buone per il film di Nanni Moretti presentato in contemporanea ieri in una Cannes ormai in piena crisi, al punto che “Libération” insiste sul fatto che il megadirettoregenerale Thierry Frémaux abbia poche scelte, o chiudere prima della fine del festival o rivedere le misure di sicurezza visti i tanti casi che si sono susseguiti e la follia del tappeto rosso per vip senza mascherine per top model o acchiappone varie, vedi ieri Bella Hadid che ha rubato la scena al cast di Nanni Moretti con una collana da albero bronchiale post-Covid sul petto nudo e zero mascherina.

     

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    Quanto a “Tre piani”, il nuovo film di Moretti, malgrado gli undici minuti di applausi del pubblico in sala, le critiche più amiche parlano di “minor work”, opera minore. Così lo definisce anche “The Hollywood Reporter” spingendolo però nella bolgia del cinema art-house che piace solo agli europei. Ma Guy Lodge su “Variety” non trova in questo “piatto, falso sforzo costruito a più livelli” neanche il suo tipico sense of humour.

     

    Al punto che non sembra neanche il film dello stesso regista che ha portato a Cannes ben otto film in vent’anni, e che venne premiato  premiato con la Palma d’Oro una decina di anni fa. “Drammaticamente rigido, cinematograficamente triste e moralmente dubbio a più livelli”, scrive Guy Lodge, mentre trova che gli attori recitino un po’ col pilota automatico. Su “Screen”, leggo, “non è una cattivo melodramma per sé, ma non ha niente dell’intensità emozionale di La stanza del figlio”.

     

     

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    Per “The Wrap” il film “non funziona su nessun livello” e presenta una città e delle situazioni da lockdown anche se è girato tre anni fa. Più buono Peter Bradshaw su “The Guardian”, che arriva a dargli tre stellette, ma lo definisce “a soapy shadow” cioè l’ombra da soap di “La Stanza del figlio”. Però chiude riconoscendogli che “può essere esagerato e anche assurdo ma vivace e sentito”. Vabbé.

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