Marco Giusti per Dagospia
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Cannes. Almeno è sabato. Non ancora smaltiti gli effetti di “Megalopolis”, con Francis Coppola che in conferenza stampa ha già detto ai detrattori che lavorerà altri venti anni e sta già scrivendo il suo nuovo film, è arrivato ieri sera Yorgos Lanthimos con “Kinds of Kindness”, kolossal da tre ore del suo disturbante teatro dell’assurdo (dicono che non è noioso…) con Emma Stone, Jesse Plemons e Willem Dafoe che danno vita a tre storie differenti che dovrebbero dire molto della natura del genere umano.
emma stone kinds of kindness
Già si discute sui nudi di Margaret Qualley e Hunter Schaefer. E su scene di sesso e cannibalismo (ahi!). Critiche in gran parte positive sui giornali stranieri, 98% su Rotten Tomatoes contro il 46% di Megalopolis, ma non crediate sia piaciuto proprio a tutti.
Leggo qualche stilettata. “Un film completamente inutile”, “tedioso sequel di Poor Things”, “sembra quasi una reazione allergica ai suoi recenti successi”. Mah… Non credo abbia grandi possibilità di vittoria, soprattutto dopo il successo di “Poor Things”.
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Temo che non ne abbia neanche l’ottimo “Bird” di Andrea Arnold, celebrata regista di “American Honey” e Fish Tank”, un film che è generalmente molto piaciuto al pubblico del concorso, ma ha fatto sollevare il ciglio a qualche critico bacchettone per l’inserimento di un lato fantastico in un cinema così legato al realismo inglese della regista.
L’ambientazione è infatti quella di una terribile periferia dove vivono cittadini senza speranza che nemmeno ai tempi di Gorky si trovavano. La Arnold segue con un meraviglioso 35 mm (francamente si vede) la sua giovane protagonista, la Bailey di Nikiya Adams, una dodicenne mezzo afro che stentiamo a capire all’inizio che sia una ragazza.
Bird di Andrea Arnold
Poi capiamo che è uno dei tre figli dello svitatissimo Bug, un grande Barry Keoghan, rozzo tatuato ma di buon cuore, che si prepara a sposare la sua ultima fidanzata conosciuta solo tre mesi prima. Bailey vede male questo matrimonio, ma vede ancora peggio la situazione della mamma, Jasmine Jobson, che vive con i suoi tre fratellini poco vicino, ma che ospita nel suo letto un brutto personaggio ambiguo e violento.
Come a salvare la situazione sempre più dickensiano interviene una sorta di misterioso uomo-uccello, Bird, di Franz Rogowski, specializzato in ruoli assurdi e marginali, sorta di matto felliniano che vive appollaiato sui terrazzi. Come Bailey lo aiuta a rintracciare la sua famiglia, Bird si legherà naturalmente a lei pronto a proteggerla come fosse un supereroe.
kinds of kindness
Non so se la parte fantastica del film strida o meno col meccanismo narrativo ultrarealistico della Arnold, certo quello che le interessa di più è piuttosto la crescita di Bailey, il suo diventare adulta e donna. E in questo il film centra perfettamente il suo obbiettivo. Ma fa un gran lavoro anche su tutti gli altri personaggi, o fratelli e le sorelle di Bailey, che hanno tutti un carattere ben definito. La verità è che la Arnold è una grande regista, e magari anche se questo non è il suo film migliore andrebbe premiata. E finora, però, non si sono visti capolavori.
Ho fatto invece un passo alla Quinzaine des Realisateurs e mi sono imbattuto in un sofisticato ritratto giovanile dei ragazzi annoiati di Tokyo, quasi nipotini della vecchia incomunicabilità di Antonioni, nell’eccentrico, elegante "Desert of Namibia" della giovane regista giapponese Yoko Yamanaka, 27 anni, già al suo quarto titolo, interpretato dalla bellissima Erica Kanata nel ruolo della ventunenne Kana, tipica ragazza di Tokyo che non ha un vero centro emotivo e passa quasi con indifferenza da una situazione emotiva o sentimentale all'altra.
Desert of Namibia
L'inizio è folgorante. Durante un appuntamento con un 'amica dei tempi di scuola scopre che un compagno di classe si è suicidato. Esternamente facendo finta di interessarsi dell’accaduto solo per il modo scelto dal suicida per morire e dal fatto che i genitori non sospettassero di nulla, la ragazza gioca tra un misto di noia e sorpresa per un ragazzo che dice di non ricordare nemmeno.
Il film è un preciso ritratto della generazione Z giapponese e forse non solo. E stupisce l’attenzione che Yoko Yamanaka mette nel ricostruire i minimi segni di attenzione della sua protagonista per il mondo esterno. Segni che vengono sempre soffocati da un senso di noia generazionale. Tra i migliori che ho visto alla Quinzaine des realisateurs. Da vedere.
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