Marco Giusti per Dagospia
being maria
Più che giusto girare un biopic sulla vita corta e sfortunata di Maria Schneider e sul celebre caso di violenza psicologica che ebbe sul set di “Ultimo tango a Parigi” da parte di Bernardo Bertolucci, regista, e Marlon Brando, attore, durante la famosa scena del burro. Soprattutto perché nessuno la avvertì di quel che si stava girando. Bertolucci voleva cogliere la sua vera emozione, il suo sgomento, le lacrime vere che ha una donna quando si sente violentata. Si poteva fare? No. Non si poteva fare e né lui né Brando si scusarono alla fine della scena.
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Salvo poi, tanti anni dopo, dichiarare la propria colpa, da parte di Bertolucci e chiedere inutilmente scusa. Non so se fu a causa della scena del burro che Maria Schneider, come dice il film, “Maria (Being Maria)” di Jessica Palud, presentato ieri fuori concorso a Cannes, iniziò una discesa nell’eroina che la portò a perdere lavori, a finire a più riprese in ospedali, a perdere contatto con la realtà. Di sicuro so che “Ultimo tango a Parigi” fu, assieme a “Decameron” di Pier Paolo Pasolini, il film più visto di ogni tempo in Italia, che rilanciò la carriera di Marlon Brando, che fece diventare Bertolucci un regista internazionale da grandi incassi.
being maria.
So che, seguendo quel che diceva Dino Risi, facciamo un cinema di maschi per un pubblico di maschi, non c’era maschio che non avesse visto il film e non parlasse ridendo della scena del burro. Come se la sodomizzazione violenta di una ragazza ventenne fosse una cosa da ridere. E questo era una cosa orribile. Una scena così comica che Franco Franchi verrà chiamata a parodiarla in “Ultimo tango a Zagarol” di Nando Cicero, solo che lui spalma il burro sul pane, non si permette di farne un altro uso.
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E partirono decine di parodie nel piccolo mondo dell’avanspettacolo, come “Ultimo tango a Compiobbi – Due atti al burro” con Ghigo Masino, vecchio comico con passato fascista. So anche, però, e lo devo dire, che in una qualsiasi scena di “Ultimo tango a Parigi” trovo più cinema che non in tutto questo dignitoso “Maria”, che ha in Matt Dillon un buon Brando, riesce a quasi a essere credibile, in Yvan Attal un Bertolucci un po’ macho e bonazzo, in Annamaria Vartolomei, già protagonista di “L’évèment”, una Maria appassionata e sensibile, ma per nulla somigliante a quella originale, né fisicamente né come carattere.
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Perché, burro o non burro, la Maria Schneider di “Ultimo tango a Parigi” era una bomba sul set, trasmetteva una carica erotica e vitale che la Vartolomei non ha. E non ha, forse, perché non ha dietro Bertolucci. E Brando. E, dopo tanti anni mi sembra evidente, la vera coppia innamorata sul set, attraverso il cinema, è quella formata da Brando e Bernardo. Maria Schneider, così giovane, così bella, così provocante, si trova spesso esclusa da questo rapporto. E noi lo percepiamo.
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Tutta questa complessità di rapporti, nata anche dal fatto che in una prima versione di sceneggiatura la storia d’amore era tra due uomini e non tra un uomo e una donna, e questo giustifica la sodomizzazione, non c’è nel film della Palud, un po’ compitino femminista di decente fattura ma di scarsa profondità. E anche riprendere paro paro la scena del burro con il durissimo monologo di Brando sulla Chiesa Cattollica, che è la vera causa del rogo che venne fatto del film in Italia, non puoi toccare la Chiesa mostrando una sodomizzando una ragazza come se fosse un ragazzo nella mente del depravato protagonista, non funziona se punti solo alla violenza alla Schneider e non a quello, sicuramente concordato e scritto, che Brando recita.
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"Non è che un film” è la famosa frase finale di Brando alla Scheider sconvolta. Ma è un film, è cinema, ci verrebbe da dire. Possiamo condannare, dopo tanti anni, Bertolucci, Brando, tutta la troupe, di non aver avuto rispetto per Maria Schneider. Che vogliamo fare, bruciarlo una seconda volta? Era un cinema così misogino sia il nostro che quello francese di allora. Magari Bertolucci e Brando le hanno fatto del male e avrebbero dovuto pagare, e anche noi spettatori che ridevamo o ridacchiavamo alla scena del burro avremmo dovuto pagare, con tutte quelle battute terribili di allora, ma non possiamo impedirci di rivederlo e trovarlo ogni volta così pieno di cinema. Un cinema che non troviamo mai in questo “Maria”.
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