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    LA CANNES DEI GIUSTI - UN LUNGO, DIFFICILE MA NOTEVOLISSIMO "A TOUCH OF SIN" DEL CINESE JIA ZHANG-KE - BUONA OPERA PRIMA "FRUITVALE STATION"


     
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    Marco Giusti per Dagospia

    "A TOUCH OF SIN"

    Cannes. Bang! Bang! Stavolta sangue e sparatorie vengono da uno dei più sofisticati e complessi registi cinesi, il Jia Zhang-Ke di "Platform" e "Still Life", che presenta in concorso il lungo, difficile ma notevolissimo "A Touch of Sin", rilettura in chiave wuxiapian (il cinema d'arti marziali), con tanto di citazione nel titolo al capolavoro di King Hu ("A Touch of Zen") della situazione della Cina attuale, alle prese con un rapidissimo e feroce capitalismo che sta massacrando tutte le classi sociali. Jia Zan-Ke mette in scena, ma spostandoli di regione, quattro celebri fatti di sangue di questi ultimi tempi, tre omicidi e un suicidio, che hanno fatto molto scalpore in Cina.

    Tutti i fatti di sangue vedono esplosioni di violenza provocati direttamente dalla perdita del collettivismo a favore di una industrializzazione troppo rapida che ha fatto perdere, soprattutto alla classe operaia, qualsiasi tipo di famiglia e di identita'.

    "A TOUCH OF SIN"

    In una miniera si scatena la guerra ai padroni che hanno venduto a una multinazionale. Una donna che lavora in una sauna, risponde col coltello a chi la vuole comprare a tutti i costi. Un ragazzo lascia il posto di lavoro in una fabbrica di abiti per un night club dove le ragazze si vestono a seconda dei desideri dei clienti. Un lavoratore solitario si vendica dei suoi datori di lavoro.

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    Jian Zhang-Ke si serve di grandi attori popolari del cinema cinese come la strepitosa Zhao Tao, nota anche in Italia per "Io sono Li", che maneggia da maestra il coltello, il barbuto Jian Wu, protagonista di "Vivere" di Zhang Yimou, lo vediamo armato di un fucilone avvolto da un tessuto con una tigre stampata pronto a sparare ai traditori della sua miniera, Wang Baoqiang e' una specie di Clint Eastwood dalla pistola facile e l'inedito Luo Lanshan il ragazzo che lavora al nightclub.

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    Ognuno di loro e' avvolto del fascino che avvolgeva gli eroi dei film di King Hu, anche se il film segue una sua precisa strada di critica sociale alla Cina odierna e non poco rimpianto per quel che si e' perduto. Certo, non e' il film adatto al pubblico italiano e non e' stato facile seguirlo, ma ha ottime possibilita' di ottenere qualche premio.

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    Qualcosa si muove anche a "Un Certain Regard". Preceduto da una buona fama di film scoperta del Sundance e della nuova scena afro-americana (un po' come fu "Precious" di Lee Daniels), e' una buona opera prima, ma non certo un capolavoro "Fruitvale Station" scritto e diretto da Ryan Glooner, prodotto da Forest Whitaker e Octavia Spence, che abbiamo visto a "Un certain regard".

    Tratto, come spiegano i titoli di testa, da una storia vera, cioe' dalla triste fine che colpi' il 22enne Oscar Grant, sposato e padre di una figlioletta, che decise di prendere la metro per festeggiare il Capodanno del 2008 e si ritrovo' una pallottola in corpo per un eccesso di zelo da parte della polizia bianca di San Francisco proprio alla fermata di Fruitvale sotto gli occhi di troppi cellulari che resero il caso di razzismo esplosivo e ancora non dimenticato, il film segue, con bel piglio realistico la giornata di Oscar, cioe' Michael B. Jordan, fino a quella corsa in treno che lo portera' a Fruitvale.

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    Anche se il film vive soprattutto nell'ultima mezzora, quando la tensione cresce e entrano in scena prima la polizia violenta e poi la mamma di Oscar, la grande Octavia Spence di "The Help", "Fruitvale Station" e' ben strutturato anche nella prima parte, non meno politica, dove il personaggio di Oscar e' descritto come uno dei tanti nuovi poveri creati dalla grande crisi americana.

    Rispetto ai nostri ultimi film realistici, quasi tutti costruiti come commedie, qua la storia vera gode di una regia da thriller psicologico (in questo sì alla "Precious"), molto veloce che lancera' non poco l'esordiente Ryan Glooner.

     

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